La politica di Trump sta modificando la geografia e la geopolitica del Sudamerica. L’ipotesi è che di fronte al “tappo” della frontiera tra Usa e Messico e al continuo aumento del fenomeno migratorio (che di certo non cesserà di crescere), nuovi muri, metaforici o fisici, inizino a essere evocati, ipotizzati, proposti per davvero
Il muro che Trump vuole fermamente edificare alla frontiera tra Usa e Messico non è ancora stato costruito. Ma ha già cambiato irreversibilmente la geografia e la geopolitica dell’America Latina. E qualcuno sottovoce inizia ad evocare il rischio del “contagio”. L’ipotesi, cioè, che di fronte al “tappo” della frontiera tra Usa e Messico e al continuo aumento del fenomeno migratorio (che di certo non cesserà di crescere), nuovi muri, metaforici o fisici, inizino a essere evocati, ipotizzati, proposti per davvero. Magari alla frontiera sud del Messico, anche se per il momento il muro con il Guatemala è una bufala montata sui social, a parte un tentativo di fermare con una barriera la corsa della “bestia”, il celebre treno merci carico di migranti; oppure nelle tante frontiere che spezzettano lo stretto braccio dell’America centrale, prese d’assedio nell’ultimo anno e mezzo soprattutto da haitiani e cubani; o, ancora, in Argentina, dove la costruzione di un muro in perfetto stile Trump è stata invece proposta dal deputato Alfredo Olmedo per bloccare l’arrivo dei migranti boliviani, mentre il governo di Macri sta riscrivendo in senso restrittivo le regole sull’immigrazione; o, infine, in Cile, dove qualche tempo fa un’analoga soluzione è stata prospettata per bloccare l’esodo di peruviani. Senza dimenticare che l’America Latina i muri li conosce da tempo: non tanto lungo le porose frontiere, ma nelle metropoli. Muri veri, che delimitano la città dei ricchi da quella dei poveri: a Lima, a San Paolo o a Buenos Aires.
Inasprimento già in atto. È reale il rischio di dare vita a nuovi muri? Lo chiediamo a William Mejía Ochoa, che da Bogotá, capitale della Colombia, coordina la rete “Colombiamigra” la quale, a dispetto del nome, si occupa del fenomeno migratorio in tutto il continente attraverso una rete di cinquecento studiosi:
“Un inasprimento delle politiche migratorie è già in atto in America Latina. Il recente ritorno al potere di liste di destra in vari Paesi porterà a questo esito. Che si costruiscano dei veri e propri muri, a parte forse qualche zona densamente urbanizzata, è difficile, anche per le caratteristiche geografiche delle frontiere. Ma è prevedibile che saranno messi nuovi ostacoli per le rotte dei migranti”.
Che sono in aumento: “Fino a qualche anno fa le migrazioni dall’America Latina riguardavano in gran parte gli Stati Uniti o la Spagna. Dopo la crisi del 2008 e l’esplodere di varie situazioni politiche o economiche sono aumentate le migrazioni interregionali. Nuove situazioni stanno esplodendo, come ad esempio il Venezuela, con processi migratori già in atto verso il Brasile e la Colombia”. Secondo il rapporto “Migración internacional en las Américas” (Organizzazione degli Stati americani-Oea, 2015) tra il 2011 e il 2013 le migrazioni nei Paesi dell’America de Sud e del Caribe sono aumentate del 17% ogni anno; la popolazione migrante in tutta l’America è aumentata del 78% dal 1990 al 2013 (la media mondiale è del 46%).
Messico, la frontiera “calda” è a sud. Proviamo allora a capire cosa sta succedendo. Partendo dal Messico. Non tanto alla frontiera nord, oggi più che mai sotto i riflettori, ma da quella sud. Non il Rio Bravo, ma il Rio Suchiate che scorre al confine tra Messico e Guatemala. Qui le parti si rovesciano. I messicani diventano i gendarmi di masse sempre maggiori di disperati. Negli anni delle presidenze Bush e Obama un sostanziale accordo con gli Usa (sancito nel 2014 dal “Plan Frontera Sur”) ha portato a politiche restrittive e a un numero di deportados maggiore rispetto a quello degli Stati Uniti. Ce lo conferma padre Flor María Rigoni, scalabriniano e direttore della Casa del migrante “Belén” di Tapachula, ai confini con il Guatemala: “È proprio così. Il record si è raggiunto nel 2005: 342mila espulsioni da parte del Messico. Poi c’è stato un calo, ma il numero delle espulsioni è tornato a crescere dal 2013. Ora si è aggiunto il problema dei cubani. Dopo che gli Stati Uniti hanno cancellato il decreto che permetteva loro di toccare il suolo americano, il Governo messicano ha annunciato che li tratterà come gli altri immigrati”. La verità che nessuno dice, spiega padre Rigoni, è che
“gli Usa hanno esternalizzato la loro frontiera. Il Messico negli ultimi anni è diventato il guardiano degli Stati Uniti, pur con politiche altalenanti”.
E in queste settimane, proprio dopo l’insediamento di Trump, si verifica uno strano fenomeno, che ci segnala Mejía Ochoa: “Nell’ultimo mese sono diminuite le espulsioni dal Messico, dobbiamo ancora capire bene i motivi”.
Il pugno di ferro di Macri. Dal Messico scendiamo di migliaia di chilometri e arriviamo in Argentina. Secondo già citato rapporto Oea, l’Argentina continua ad essere il Paese del Sudamerica con il più elevato livello di immigrazione. Nel 2013 sono arrivati 140mila immigrati permanenti (il 45% in più rispetto al 2010). Viceversa, l’emigrazione dei boliviani (per tre quarti proprio verso l’Argentina) è aumentata del 23%. Come accennato, ha fatto scalpore l’idea di Alfredo Olmedo di costruire un muro per fermare i boliviani. Una proposta arrivata proprio nei giorni in cui il Governo ha proposto un pacchetto di proposte per inasprire i controlli ai confini. In questo contesto la Chiesa ha fatto sentire la propria voce, attraverso la Commissione episcopale per le migrazioni, che ha diffuso nei giorni scorsi una nota intitolata “Stigmatizzazione del migrante?”. Da Buenos Aires ci risponde padre Flavio Lauría, segretario generale della Commissione: “In Argentina la legge sull’immigrazione è del 1978, con alcune modifiche datate 2004. Tra le altre cose il Governo vuole formare una Polizia di Frontiera. Qui il nostro documento è stato letto come un attacco all’Esecutivo. Noi in realtà riconosciamo che ci sia un diritto a proteggere le frontiere. Ma siamo molto preoccupati di come la società potrà interpretare queste decisioni del Governo. L’opinione pubblica non sempre è bene informata, c’è appunto i rischio di una stigmatizzazione del migrante. Ci sono nel paese elementi xenofobi, ci sono state dichiarazioni preoccupanti”. Anche se quella di costruire il muro è al momento “la proposta di una sola persona”. Per padre Lauria “gran parte dei boliviani e paraguagi presenti nel nostro Paese sono qui per lavorare, basti pensare che solo il 5 per cento della popolazione carceraria è formata da migranti”.