Social week

Gran bazar chat

I social non sono mai immuni da effetti collaterali, soprattutto se a usarli sono persone (minori o adulti) che non hanno del tutto contezza delle possibili derive comunicative

Grande scompiglio per queste ultime settimane di lezioni in presenza. Le scuole hanno dovuto calcolare percentuali e studiare nuove turnazioni per ottemperare alle disposizioni ministeriali sulla frequenza degli studenti. In alcuni casi i nuovi orari delle lezioni hanno interessato le prime ore del pomeriggio, andando a sovrapporsi ad attività extrascolastiche, come lo sport e la musica, portate avanti dai ragazzi con fatica e tenacia nonostante il Covid.

L’organizzazione degli orari ha portato anche a momenti di confronto e tensione tra famiglie, studenti e istituti, non facilitati nello scambio di opinioni e notizie dalla comunicazione a distanza.

La comunicazione scuola-famiglia quest’anno ha sofferto un po’ e non solo in quest’ultima circostanza. La maggior parte delle riunioni e dei colloqui sono stati gestiti inevitabilmente online, a causa del protocollo per la prevenzione e contenimento del contagio.

Le scuole si sono impegnate e anche i genitori, ma gli ostacoli sono stati oggettivi. Per compensare le criticità è cresciuto in maniera esponenziale il numero delle chat informali. Tra docenti e genitori, tra docenti e studenti, tra rappresentanti di classe o di istituto e genitori.

Purtroppo la crescita del numero delle informazioni scambiate non sempre ha favorito la chiarezza e il dialogo fra le parti, anzi spesso ha generato dei fastidiosi fraintendimenti, determinando in alcuni casi anche un pericoloso disordine fra i ruoli.

Gestire una chat di classe è un compito complesso e chiede all’amministratore grande saggezza ed equilibrio, affinché lo strumento possa essere realmente una fonte di notizie per gli iscritti e non si trasformi in uno sfogatoio. In maniera particolare, questa degenerazione nell’uso della chat avviene fra i genitori, soprattutto negli ordini di scuola inferiori (infanzia e primaria). Crescendo, infatti, i ragazzi si organizzano autonomamente e creano essi stessi delle comunità virtuali dove attingere informazioni e socializzare. I social  non sono mai immuni da effetti collaterali, soprattutto se a usarli sono persone (minori o adulti) che non hanno del tutto contezza delle possibili derive comunicative. È chiaro, quindi, che anche sulle chat fra studenti si verifichino con frequenza degli “incidenti”. Ma si tratta soprattutto di questioni legate all’aspetto relazionale e all’abuso del linguaggio o delle immagini.

Nel caso dei genitori, invece, spesso la questione è più sfaccettata. Infatti, oltre agli “incidenti” relazionali, si generano equivoci importanti e spesso si travalicano i confini del politically correct, e non di rado anche i paletti della privacy.

Forse la scuola dovrebbe investire di più all’inizio dell’anno scolastico nella formazione degli attori della comunicazione che ruota attorno a questa istituzione: docenti, genitori e anche studenti. Le chat spesso fanno da detonatore o amplificano i problemi, anziché sciogliere nodi. In esse si delineano contrapposizioni pericolose che portano allo scontro e alla divisione. Si esprimono considerazioni o pareri su minori, o sull’operato di alcuni docenti senza avere effettiva cognizione dei fatti tirati in ballo. Per non parlare degli allarmismi legati al contagio Covid, da quest’anno nuovo insidioso tema nelle discussioni di classe.

Ciò che spesso sfugge completamente al giudizio viscerale delle chat di classe è il progetto pedagogico che muove le azioni all’interno delle scuole. Anche questo è un grave baco comunicativo, che denota un interruzione del corretto flusso informativo fra scuola e famiglie. Le istituzioni scolastiche si trovano a tessere tele educative spesso invisibili agli occhi del territorio. I processi formativi hanno bisogno di tempo e le aule scolastiche sono piazze dove, inevitabilmente, emergono le reciproche difficoltà, dove i ragazzi entrano in crisi perché costretti al confronto e quindi anche allo scontro, in alcuni casi.

La pratica del commento “libero” e anarchico non porta mai alla soluzione dei problemi, ma inasprisce e priva i nostri figli della possibilità di giudicare con equilibrio il contesto di riferimento e i fatti che si trovano a vivere.

All’inizio di ogni giornata scolastica bisognerebbe istituire cinque minuti di silenzio e riflessione da far precedere al lancio sconsiderato del primo commento nell’arena del fuoco incrociato delle chat.

dal Sir