In famiglia

Giacobbe, Lia e Rachele

Il popolo eletto di Israele fonda le sue fragili radici sulla competizione e la rivalità, eppure è su questo popolo di dura cervice che Dio continuamente scommette

È un luogo santo, Betel, un’oasi spirituale, quei momenti in cui il Signore ci parla in modo chiaro e ci incoraggia a fidarci di lui e a seguirlo. Quando il sogno è così chiaro che non vi possono essere dubbi, quando la preghiera trova risposta nel dialogo con Dio. Arrivato presso le terre dello zio Labano anche a Giacobbe capita quello che era capitato al padre, si innamora: si innamora a prima vista di una donna bellissima che sta compiendo umilmente il suo lavoro. La bacia (senza tanti preliminari) e piange di gioia perché ha già capito che Rachele, “pecorella” questo il suo nome, come quelle che fa pascolare, è la donna con cui vuole dividere la vita.

Ma i nostri desideri non corrispondono sempre a quelli di Dio. Egli mantiene le sue promesse ma per vie che non ci è dato subito di conoscere. Labano si dimostra ancora accogliente, ma spregiudicato. Appellandosi ad una vaga norma locale (“si usa far così dalle nostre parti”), inganna l’ingenuo Giacobbe e mentre questi ha chiesto la mano di Rachele, la prima notte di nozze Labano “gli mette nel letto” (col favore del buio) la primogenita Lia, su cui il testo è impietoso: “aveva gli occhi smorti”.

Giacobbe è incastrato: ha promesso sette anni di lavoro in cambio di una moglie e ora Labano gliene chiede altri sette per potersi prendere Rachele, l’unica che ama. Che famiglia si va creando? Qualcosa che noi facciamo fatica a immaginare perché la bigamia non ci appartiene, eppure possiamo capire i sentimenti di queste due sorelle: una amata dal marito come non mai, l’altra tenuta per contratto. Chissà che dolore, che incomunicabilità, quali aggiustamenti per stare tutti sotto la stessa tenda…? Il Signore poi sembra intervenire proprio “controcorrente” rendendo fertile Lia e “consolandola” del suo non essere amata dal marito. Quattro figli! Che Lia spera siano sufficienti perché Giacobbe le sia in qualche modo almeno grato. Il marito, invece, deve vedersela con l’ira di Rachele che minaccia addirittura il suicidio se il Signore non le concederà un figlio!

Giacobbe è in balia delle donne che ha attorno ed esclama che non è lui al posto di Dio, cosa pretendono dalle sue forze?! Si consuma una guerra di gravidanze, che quasi ci affanna nel suo susseguirsi senza soluzione di continuità. Rachele chiede al marito di concepire con la sua schiava e nascono due figli; allora fa così anche Lia e dalla sua schiava Giacobbe ha altri due figli. Infine Lia e Rachele si contendono il marito in cambio ancora di cibo: le mandragole (come per la zuppa di lenticchie di Esaù)…

Per un peccato di gola, Rachele concede il letto del marito alla sorella Lia e questa concepisce altri due figli maschi e la figlia Dina. A qualcuno potrà sovvenire la dinamica di un intenso film cinese di molti anni fa, Lanterne Rosse, pur appartenente ad una cultura tutta diversa, ma in cui la poligamia era consentita. Quanta violenza si può consumare in una casa in cui un solo uomo deve dividersi fra diverse mogli? Eppure è così che va costituendosi il popolo delle dodici tribù. Il popolo eletto di Israele fonda le sue fragili radici sulla competizione e la rivalità, eppure è su questo popolo di dura cervice che Dio continuamente scommette. Dio si ricorda, alla fine, di Rachele che, immaginiamo con immensa gioia, dà alla luce un figlio predestinato a cose grandi: Giuseppe.

È ora tempo di partire, di tornare nella terra di suo padre. La famiglia di Giacobbe si è moltiplicata a dismisura e lui, benedetto dal Signore, con astuzia accresce i suoi beni, si affranca da Labano e fugge non senza la complicità della moglie Rachele, che ruba gli idoli del padre, li nasconde nella sella del suo cammello e riesce a non farli trovare ad un Labano disperato, con la scusa che non può alzarsi perché ha le mestruazioni. È sbalorditivo come il Signore lascia che gli uomini e le donne mettano in campo la loro libertà per ottenere i loro scopi. Come? Nessuna punizione? La fanno franca? Ma che storia stiamo leggendo? Che bilancio facciamo di torti e ragioni. Il bilancio è sempre alla fine.

Giacobbe, dopo tanti anni, vuole preparare l’incontro con suo fratello: ha paura che Esaù gli sia ancora ostile, gli vuole offrire beni a dismisura per ammansirlo, ma in realtà è con la giustizia del Signore che deve fare i conti. La lotta notturna con Dio (Gn 32, 23-33) lo segna indelebilmente nel corpo, lo lascia letteralmente “sciancato”, ma libero dal peso della colpa, capace di “far passare” tutta la sua famiglia dall’altra parte, di voltare pagina.

Ha visto faccia a faccia il Signore ed è rimasto in vita: ora può riconciliarsi col fratello che, inaspettatamente, lo perdona, gli si getta al collo, lo bacia, piange di commozione. Fra i due prevale il legame del sangue su ogni altra rivalsa, godono dell’unire le forze per un attimo e poi decidono di proseguire ognuno per la sua strada. Questa volta la storia sarebbe a lieto fine se non si inframmezzasse la violenza straniera subita a Sichem dalla figlia Dina, la vendetta dei fratelli Simeone e Levi che compiono una strage e infine la morte straziante di Rachele a Betel nel dare la vita all’ultimo figlio, Beniamino, per antonomasia il figlio prediletto. Ogni pagina biblica ci avvince per come è impastata di umano e divino, di sacro e profano.

Esaù e Giacobbe erano solo due fratelli gemelli, ma dalla loro storia è nato un popolo e noi ancora oggi siamo qui a interrogarci su quali possano essere i rapporti fra fratelli, persone che non si scelgono ma sono costrette a convivere, che possono amarsi alla follia o odiarsi senza tregua. È sempre lo stesso mistero, quello della vita affidata alla nostra libertà in cui prende carne la storia della salvezza.

dal Sir