Esequie di Stefano e Andrea, il vescovo: «mette in sicurezza la vita degli altri chi non pensa a se stesso»

«C’è bisogno di gente come Stefano ed Andrea per spegnere il fuoco di un mondo che è – un po’ come la via Salaria – a rischio permanente», ha detto il vescovo durante le esequie

«Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo»: è a partire dalle parole di Isaia che mons Pompili si è rivolto a quanti si sono stretti attorno alle famiglie e agli amici di Stefano Colasanti e Andrea Maggi, le due vittime del drammatico incidente del distributore sulla via Salaria.

Il profeta ricorda che «la vita che è effimera come l’erba e struggente come un fiore che appassisce»: una verità «spesso censurata» nella vita quotidiana. La stessa in cui entrambi erano immersi quando sono stati richiamati dal fuoco di gas sulla Salaria: «Stefano andava a Monterotondo fuori servizio ed Andrea era a casa».

«Sono stati attratti, risucchiati e, quindi, scomparsi: la vita è fragile ed imprevedibile, sottoposta a continui test di sopravvivenza, anche se ce n’è sempre uno che non si supera». Ma, ha aggiunto il vescovo, «è proprio l’imprevedibilità fa la vita drammaticamente preziosa, al punto da non poterne sprecare alcun istante».

Come Stefano che invece di tirar dritto si è fermato. Essendo, per altro, ben consapevole del rischio, anzi affrontandolo apertamente, pur di aiutare altri con la sua voce che gridava di scappare altrove. Anche Andrea si è mosso per andare da un suo amico, il cui luogo di lavoro era in fiamme. Anche lui poteva starsene tranquillo, a debita distanza, e invece si è ritrovato in mezzo al fuoco.

«Se uno ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?». La domanda a bruciapelo posta dal Maestro ai suoi discepoli è la provocazione di fronte alla quale ci troviamo: «Perché mai mettere a repentaglio tutto per andare in cerca di ciò che si è perduto? Perché prendersi cura di quello che sembra ormai spacciato per sempre?»

«Fortunatamente – ha spiegato don Domenico – Dio non la pensa così e non lascia nulla di intentato, pur di venire incontro all’uomo perduto. Questo è quanto basta per credere con ragionevole speranza che nulla di ciò che è autenticamente umano andrà perduto per sempre. Così crediamo che Stefano ed Andrea non sono perduti, ma che proprio l’amore per gli altri di cui hanno dato prova, ha raggiunto e avvolto loro per primi».

Poi il vescovo si è soffermato su un modo di dire: «Si nasce incendiari e si muore pompieri», letto non nel senso consueto: con il sarcasmo che si usa per dire del tradimento degli ideali giovanili. Perché alla luce di quel che è accaduto, il proverbio offre un’altra possibile lettura: «è facile appiccare il fuoco, difficile è domarne le fiamme. C’è bisogno di gente come Stefano ed Andrea per spegnere il fuoco di un mondo che è – un po’ come la via Salaria – a rischio permanente. Per questo ciò che è più richiesto sono donne e uomini che sanno correre il rischio e non fuggire davanti al pericolo. Ciò che mette in sicurezza la vita degli altri è soltanto il coraggio di chi non pensa a se stesso. È questa la fede – ha concluso il vescovo – che manda avanti il mondo nonostante rischi ogni giorno di incendiarsi».