Donne e memoria: la strage di Leonessa

Quando si dice che la memoria va conservata e soprattutto donata a chi vuole raccoglierla. Con entusiasmo e con rispetto. Questo è accaduto quando Annunziata Rosini Gallotta classe 1921, giovane maestra a Leonessa durante i terribili giorni di quello che è ricordato da tutti come un terribile eccidio. 52 civili uccisi di Leonessa e delle frazioni trucidati dai nazisti.Annunziata, per tutti Nuna, c’era ed ha visto con i suoi occhi l’orrore.

«Le nonne raccontano favole liete – ha detto ai ragazzi della scuola Sisti che l’hanno accolta con un grande applauso – la mia invece non è una favola lieta, ma è giusto raccontarvela, perché solo ricordando forse l’orrore di quei giorni non tornerà più. Sta a voi far si che non succeda di nuovo, ma quello che si sente anche ai nostri giorni parla ancora di morte. Il mio augurio per voi è che non proviate mai quando accaduto allora».

Ed inizia il suo racconto, Nuna, di quando «insegnavo a Leonessa dove nevicava sempre. Io ero lì perché il parroco era mio fratello. E lì ho conosciuto anche quello che poi sarebbe stato la prima vittima delle fucilazioni. Don Concezio Chiaretti che aveva appena 24 anni e da pochi giorni aveva celebrato la sua prima messa. Veniva spesso a trovare mio fratello e lo ricordo ancora per la sua tenacia e la sua grandissima intelligenza».

È vero, a Leonessa c’era la neve, era freddo, ma si viveva in pace. Poi, un giorno, racconta ancora Annunziata, «tornò in paese una donna, Rosa Cesaretti, amica di un ufficiale tedesco, tornata in paese a seguito dello sfollamento. E fu lei, per l’odio che nutriva verso i compaesani, a guidare i tedeschi nella scelta delle vittime, tra cui c’era anche un fratello invalido. E questa signorina fa la sua prodezza. Accompagna le pattuglie tedesche per il paese e le frazioni. In quegli anni erano gli uomini a rispondere alla porta perché era freddo e le donne rimanevano in casa. Così quando i tedeschi suonavano alla porta gli uomini si affacciavano per vedere chi era».

Era un Venerdì Santo, quel terribile giorno, e tutti gli uomini, giovani e vecchi, vennero portati nella piazza del paese. «Con loro – prosegue Nuna – c’era anche don Chiaretti. Fratelli, padri, figli e mariti vennero portati lungo il corso cittadino e fatti sfilare davanti ai loro cari. Ad ognuno era stato chiesto di preparare un fagotto con dentro un pezzo di pane. E così tutti stavano lì con il loro fagottino pensando di dover essere portati a Rieti in carcere. Erano le tre del Venerdì Santo e vennero fatti incamminare verso la Scorzarella lungo la strada che porta a Rieti. Per questo non pensavano di venire uccisi».

Ma il pensare umano, in quei giorni, era diverso da quello di chi si rese autore di eccidi e stragi. E così, continua Nuna, «vennero portati su una collinetta di fronte al paese. Dalle finestre vedevamo tutto, eravamo tutti a guardare verso quella collina. Il primo a essere colpito fu don Chiaretti perché appena esplosero i primi colpi si gettò davanti a tutti per cercare di salvarli. Ma caddero tutti, uno dopo l’altro. E morirono davanti agli occhi dei familiari che erano alla finestra e videro trucidati i loro cari».

Tra quegli occhi che videro l’orrore c’erano anche quelli di Annunziata. I colpi, le grida, e poi il silenzio.

«Allora – racconta Nuna – io e le altre donne andammo nella chiesa di San Francesco e vedemmo quei corpi ammassati. Non si riconoscevano erano uno sopra all’altro distrutti, piagati, irriconoscibili. I corpi erano deposti sul pavimento e coperti con pietosi lenzuoli. Il giorno dopo vennero portati al cimitero del paese senza suono di campane».

Il racconto di Annunziata è finito, ma i ragazzi vogliono sapere ancora, ascoltare e anche partecipare. E alzano la mano, intervengono, raccontano dei nonni, dei loro ricordi. Vogliono sapere della guerra, dei “buoni” e dei “cattivi”. E Annunziata li ascolta ed annuisce e poi racconta ancora. 93 anni portati con grande orgoglio e con la voglia di dire ancora.

«Noi insegnanti cosa potevamo dire? Come potevamo spiegare quanto stava accadendo?» risponde Nuna ad una domanda posta da un alunno. «La guerra è così brutta che a volte non c’erano parole. I paesi erano vuoti c’erano solo nonni e bambini perché gli altri erano tutti in guerra. Ragazzi fate in modo che questi settant’anni trascorsi da quegli orrori non tornino più. Litigate, affrontatevi, scontratevi, ma la guerra mai più».