La domenica del Papa-La prospettiva della speranza

Francesco all’Angelus: “Ciò che era zizzania o sembrava zizzania, può diventare un prodotto buono. È la realtà della conversione”

Nel nostro vivere quotidiano abbiamo messo in primo piano la fretta, non siamo più capaci di aspettare a lungo. Ai semafori è facile ascoltare il suono del clacson appena si passa dal rosso al verde; e se siamo in fila per fare una qualsiasi operazione in banca, alla posta o al mercato, non è difficile vedere qualcuno che, impaziente, cerca di anticipare il suo turno.

Il nostro agire richiama in qualche modo quello dei servi dell’agricoltore, è la prima delle tre parabole che leggiamo nel brano di Matteo, che vorrebbero subito tagliare la zizzania che sta crescendo insieme al grano. “Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura” è la risposta del padrone del campo. Invito ad avere pazienza e mitezza. Fuor di parabola, ciò che leggiamo in questa pagina del primo Vangelo è la questione del male nel mondo cui si contrappone la pazienza di Dio, che, come leggiamo nel Salmo, è “misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”.

Nel racconto evangelico, dunque, ci sono due opposti protagonisti, dice Papa Francesco all’Angelus: “Il padrone del campo che rappresenta Dio e sparge il buon seme; dall’altra il nemico che rappresenta Satana e sparge l’erba cattiva”. Così grano e zizzania, cioè bene e male, crescono assieme e i servi “vorrebbero intervenire strappando la zizzania; ma il padrone, che è preoccupato soprattutto della salvezza del grano, si oppone dicendo: non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano”.

La pazienza, la misericordia di Dio. Gesù non strappa la zizzania, non caccia Giuda dai dodici ma anzi si china e gli lava i piedi; non interviene per impedirgli di compiere fino in fondo il suo tradimento, ma lo lascia nella sua libertà e lo chiama amico. Ecco l’infinita pazienza del Signore che sola può cambiare il cuore dell’uomo.

Con le parabole Gesù, ricordava Benedetto XVI, “invita a riconoscere anzitutto il primato di Dio Padre: dove lui non c’è, niente può essere buono. È una priorità decisiva per tutto. Regno dei cieli significa, appunto, signoria di Dio, e ciò vuol dire che la sua volontà deve essere assunta come il criterio guida della nostra esistenza”.

Con questa parabola, afferma Papa Francesco all’Angelus, “Gesù ci dice che in questo mondo il bene e il male sono talmente intrecciati, che è impossibile separarli ed estirpare tutto il male. Solo Dio può fare questo, e lo farà nel giudizio finale. Con le sue ambiguità e il suo carattere composito, la situazione presente è il campo della libertà, il campo della libertà dei cristiani, in cui si compie il difficile esercizio del discernimento fra il bene e il male”. Come dire, l’intransigenza, il cercare la purezza a tutti i costi, la rigidità di volere una comunità composta tutta di giusti è pericolosa, perché i confini tra bene e male, tra giustizia e ingiustizia a volte non sono così netti.

Per Francesco si tratta, dunque, di congiungere “due atteggiamenti apparentemente contradditori: la decisione e la pazienza. La decisione è quella di voler essere buon grano – tutti lo vogliamo -, con tutte le proprie forze, e quindi prendere le distanze dal maligno e dalle sue seduzioni. La pazienza significa preferire una Chiesa che è lievito nella pasta, che non teme di sporcarsi le mani lavando i panni dei suoi figli, piuttosto che una Chiesa di ‘puri’, che pretende di giudicare prima del tempo chi sta nel Regno di Dio e chi no”.

In quella paziente attesa del tempo della mietitura c’è anche un grande disegno di speranza: “La linea di confine tra il bene e il male passa nel cuore di ogni persona”, afferma ancora Francesco. Ogni azione e gesto su questa terra sarà consegnato per la sua valutazione alla misericordia finale di Dio. E fino a quel tempo noi potremo solo parlare di bene e male, ma mai giudicare chi è buono o cattivo, chi è giusto o ingiusto. Lo sguardo dell’agricoltore-Dio è fatto di pazienza e attesa, perché afferma Francesco, “ciò che era zizzania o sembrava zizzania, può diventare un prodotto buono. È la realtà della conversione. È la prospettiva della speranza”.