Dal ventre del pesce

[download id=”239″]

Riflessione Pastorale per la Chiesa di Rieti dopo il IV° Convegno Ecclesiale di Verona.

Introduzione

«Che cosa dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?» (Gn. 1, 11) ((L’abbreviazione del libro di Giona non è univoca; nella Bibbia di Gerusalemme e nel Grande Commentario Biblico di Brown, Fitzmyer, Murphy è Gn ed è stata adottata in questo lavoro, anche se potrebbe essere confusa con Genesi che di solito è Gen, ma che altri, tra cui la traduzione interconfessionale della Bibbia in lingua corrente, abbreviano con Gn. Questi preferiscono per Giona l’abbreviazione Gio.))

1) L’esperienza esaltante di Verona, nell’ottobre scorso, ha lasciato in chi vi ha preso parte un segno destinato a rimanere impresso a lungo nel proprio vissuto personale ed ecclesiale.

La delegazione reatina si è lasciata immergere, in quei giorni di intenso lavoro, nel clima festoso e nell’opera di approfondimento degli àmbiti che erano stati individuati per guidare la riflessione.

A distanza di qualche mese, in prossimità della Quaresima, dopo aver riletto appunti, articoli e relazioni, ho pensato di riorganizzare il materiale per indirizzare al Clero, ai Religiosi e alle Religiose, ai Diaconi e a tutti i fedeli Laici, questi orientamenti per ravvivare la pastorale diocesana e parrocchiale, alla luce di quanto emerso nei tre luoghi cardine di Verona: l’Arena, la Fiera e lo Stadio, i nuovi areopaghi, come li ha definiti il Santo Padre Benedetto XVI.

Per evitare di ripetere cose anche conosciute e per evitare di esporre semplicemente dei concetti, mi lascerò guidare da un libro della Bibbia, forse poco conosciuto e molto breve, che mi sembra di una attualità impressionante: il libro di Giona.

2) Datato da alcuni studiosi intorno al 700 a. C., secondo recenti ricerche potrebbe essere successivo all’esilio Babilonese, intorno al 500 a. C.

Lo riassumo brevemente e lo riporto integralmente in calce al presente documento, nella fiduciosa speranza che sia letto e meditato da molti, assieme agli orientamenti che mi accingo a dare.

Giona è un Profeta ebreo che viene mandato da Dio a profetare a Ninive, una grande città assira sul fiume Tigri, molto popolosa ma anche incline al male e lontana da Dio. Giona si rifiuta e prende una nave per andare nel senso opposto, lontano da Ninive, verso Tarsis sul mediterraneo.

Durante il suo viaggio una tempesta si scatena contro l’imbarcazione e i marinai invocano ognuno il proprio dio, ed esortano Giona a pregare il suo Dio, perché non li faccia perire.

Giona comprende di essere lui la causa della tempesta e si lascia gettare in mare per placare la furia dei venti e delle acque. Così accade, e una volta immerso nei fondali marini viene inghiottito da un grosso pesce, nel quale resta per tre giorni e tre notti, per essere poi vomitato dal cetaceo e obbedire al comando del Signore di andare a Ninive, a proclamare la Parola di Dio.

Dopo che i niniviti si sono pentiti, Dio ritira la minaccia dei suoi castighi e Giona, anziché essere lieto, si rattrista per la misericordia che Dio ha accordato ai peccatori di quella città.

I. La vita affettiva

Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere! (Gn. 4, 3)

3) Il primo ambito del Convegno di Verona è quello della vita affettiva.

Ciò che ci viene trasmesso dai mezzi di comunicazione (maltrattamenti di bambini, di donne, liti violente, morti sulle strade) deve ricondurci ad un elemento importante, che è quello della crisi della dimensione affettiva.

Dal momento che tutto viene ricondotto a ciò che è utile, conveniente dal punto di vista economico, dal momento che tutto è quantificabile e monetizzabile, che è vero e buono solo ciò che è visibile e percepibile, allora ciò che è sentimento, percezione emotiva, viene considerato di second’ordine e viene trascurato.

Ma questo recide ogni legame con ciò che è spirituale, termine da intendersi in senso ampio e non esclusivamente religioso.

La crisi dei sentimenti, dell’identità sessuale, della famiglia, sono conseguenza di una più vasta crisi spirituale che ha relegato ciò che è intangibile tra ciò che è inutile; ma è proprio l’intangibile che fonda ciò che è visibile e sperimentabile.

4) I nostri giovani hanno tanto bisogno che il mondo degli adulti si faccia «narratore di speranza» e proponga valori alti a cui ispirare la propria vita.

La famiglia è il primo luogo in cui si impara ad amare; è la prima scuola di affettività, perlopiù caratterizzata dalla testimonianza.

La vita affettiva all’interno della famiglia è in continua evoluzione, da qui l’importanza di accompagnare i giovani e le coppie nel tempo.

Tutti hanno bisogno di capire, a partire dalla famiglia, che l’amore è creativo perché ha Dio come sua sorgente.

Senza questo accompagnamento i giovani, senza esserne pienamente consapevoli, cercano l’emozione superficiale e rischiosa, surrogato di felicità, che può portarli a tristi conseguenze.

5) Giona si trova alla fine della sua impresa quando pronuncia la frase che ho posto all’inizio di questo breve capitolo: «è meglio morire!».

Quando ci vengono a mancare i punti di riferimento in cui abbiamo sempre fermamente creduto, preferiamo la morte, l’annullamento nichilistico di ogni speranza e di ogni significato di vita.

Al di là del senso letterale, specifico ed esegetico di questo testo, potremmo quasi dire che il Profeta, di fronte ad un Dio misericordioso e longanime che perdona persino i niniviti, non si sente pienamente valorizzato e amato, quasi che un amore generoso e ampio possa in qualche modo condizionare le singole relazioni e togliere amore a chi è già pienamente amato; sembra quasi anticipare la reazione del figlio maggiore del Vangelo che si rammarica dell’accoglienza e del perdono che il Padre misericordioso riserva al figlio minore, che torna a seguito di una vita dissoluta: la cosiddetta parabola del Figliol prodigo (Lc. 15, 11-32 ).

6) È necessario recuperare la consapevolezza che una vita affettiva e relazionale

buona è la condizione senza la quale la vita stessa, complessivamente intesa, non può essere buona, neanche quella spirituale!

Forse la vita frenetica, la necessità anche umanamente comprensibile di arrivare a fare quanto è nostro dovere compiere, ci fa dimenticare il fine ultimo di ogni nostro agire.

Ciò vale per la società in generale, ma vale anche per la nostra Chiesa locale: sacerdoti, diaconi, religiosi/e, laici.

Tutti dobbiamo sapere che non ci è consentito in nessun modo scandalizzare, soprattutto i giovani, con comportamenti non conformi a ciò che crediamo e siamo nella Chiesa e nella società.

Penso a comportamenti arrivistici, a sfoghi incontrollati delle proprie frustrazioni, penso a tante persone, anche nel mondo ecclesiale, che parlano di buoni sentimenti, di comunione, e non sanno tenere in piedi rapporti sociali fraterni e duraturi.

Penso, fra l’altro, a quando compiamo scelte che lasciano amareggiato chi ci stima e ci rispetta.

È questo il momento di cambiare rotta!

7) A livello di Chiesa locale auspico un rinnovamento di persone negli organismi e uffici di Curia che devono occuparsi dell’educazione dei giovani.

In tempi brevi intendo valorizzare religiose, diaconi e laici, oltre che giovani sacerdoti, anche in ruoli di responsabilità nella nostra Chiesa locale.

Un contributo forte al mondo dell’affettività può essere dato proprio dalla interazione della pastorale giovanile con la catechesi e il mondo della scuola e dell’università, ma anche con iniziative del mondo sociale e di associazioni esterne alla Chiesa locale: dobbiamo prenderci cura dei nostri giovani tentando tutte le possibili vie, senza attendere tempi troppo lunghi che già hanno danneggiato la vita di coloro che si attendevano da noi una proposta di verità e di Vangelo: «Alzati, va’ a Ninive la grande città e annunzia loro quanto ti dirò»(Gn. 3,2).

II. Il Lavoro e la Festa

Gli domandarono: «Spiegaci dunque per causa di chi abbiamo questa sciagura. Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?» (Gn. 1, 8)

8) La drammatica situazione di coloro che sono in cerca di una prima occupazione

per poter iniziare un dignitoso progetto di vita e di famiglia e di quelli che si ritrovano dopo alcuni decenni di lavoro senza un’occupazione perché la fabbrica in cui erano impiegati chiude i battenti o si trasferisce altrove, interpella la coscienza di tutti, nella Chiesa e fuori.

Proprio la nostra Diocesi, la città di Rieti in particolare, è stata interessata in questi anni da un pauroso decremento dei posti di lavoro nel cosiddetto Nucleo, che definire industriale suona quasi come un’offesa a chi ha perso il posto di lavoro.

La Diocesi non ha fatto molto e, forse, non avrebbe potuto fare più di tanto, ma è mancato sicuramente un organismo che si prendesse a cuore almeno alcune delle problematiche del mondo del lavoro, perché la presenza e gli interventi del mondo ecclesiale fossero pertinenti, appropriati, propositivi e aperti al futuro.

Ma anche il mondo sociale e politico si è rivelato inadeguato; pur tra le tante difficoltà e con le migliori intenzioni, i risultati ottenuti sono stati modesti.

A volte si ha la sensazione che si sia impegnati solo a provvedere ad occupare quella o l’altra poltrona, a creare quello o l’altro ufficio, che poi non sembrano produrre frutti e dare risposte significative a chi ha problemi, possiamo dirlo, di vera e propria sopravvivenza.

Se manca il lavoro o non è valutato in modo adeguato, vengono a mancare le coordinate valoriali per una vita degna e il sostegno materiale e morale ad una esistenza fatta di buone relazioni e intenzioni rette.

9) Giona si trova nel mezzo della tempesta, sulla nave che deve portarlo lontano da Ninive e dal compito che Dio gli ha affidato. Si è reso conto di essere lui la causa della sciagura, e i rozzi marinai, che avevano tirato la sorte su chi era la causa della tempesta, pongono a Giona delle domande: da dove vieni, che sei, quale è il tuo popolo e che mestiere fai.

L’identità di una persona va ricercata nella sua famiglia, nel suo popolo, nella sua religione; il profeta risponderà di essere ebreo, ma non parlerà del suo lavoro, che si può dedurre dal contesto della risposta: «Sono Ebreo e venero il Signore Dio del cielo, il quale ha fatto il mare e la terra» (Gn. 1, 9)… «Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia» (Gn. 1, 12).

Che è un Profeta si capisce proprio dal fatto che venera il Dio che ha creato il mare e la terra e comprende le ragioni della tempesta.

Il libro è un romanzo anche ironico e a volte duro con l’uomo religioso; quei marinai rozzi non si liberano subito del Profeta, ma cercano di remare con tutte le loro forze per andare a riva e mettersi tutti in salvo.

Anche chi non condivide le nostre ragioni e la nostra visione della vita può aiutarci a raggiungere gli scopi che noi ci prefiggiamo. Essere Profeta non è un lavoro come gli altri, ma chi fa lavori manuali, anche considerati puramente esecutivi e di basso profilo, può correre in aiuto di chi ha una missione spirituale da portare a compimento.

10) Il primo capitolo del libro di Giona si conclude con questo versetto: “Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e fecero voti” (Gn. 1, 16).

La testimonianza del Profeta non è proprio limpida ed esemplare.

Lui sta fuggendo dalle sue responsabilità, va verso la parte opposta a quella che Dio gli ha indicato, ma riconosce di essere piccolo e rimproverabile da quei marinai che pregano i loro dèi con tanta fiducia.

Persino una testimonianza così apparentemente meschina può suscitare un atteggiamento di fede. Prima di gettare Giona in mare chiedono a un Dio che non è il loro di perdonare il gesto che compiono e di non imputarglielo.

11) Di fronte al mare che si placa non può che sgorgare il loro canto riconoscente.

Fatto il lavoro non può mancare la lode a Dio per i suoi benefici, non può mancare il compimento di quel sacrificio che per noi cristiani ha nell’Eucaristia domenicale il momento culminante.

È la festa la logica conseguenza del lavoro, anzitutto come tempo dedicato al rapporto con Dio. ((Comitato preparatorio del IV Convegno ecclesiale nazionale, “Testimoni di Gesù Risorto speranza del mondo”, n. 15, lett. b.))

Nelle nostre comunità cristiane, negli ultimi decenni, si è affievolito il senso della festa, anche da parte di chi frequenta ogni domenica la Messa.

Al recupero del grande significato dell’Eucaristia, il banchetto della famiglia di Dio che si nutre della Parola e del Pane spezzato, deve unirsi il recupero di quelle buone relazioni tra parenti e amici, il recupero della gratuità come tempo e danaro dato per chi ha bisogno del nostro aiuto.

In questo le Parrocchie devono mettere a frutto tutta la creatività di cui sono capaci.

Chi ci guarda deve poter dire che fare e dire le cose che facciamo e diciamo noi è bello e ne vale la pena.

Per noi credenti la domenica ha un’origine squisitamente religiosa, ma oggi, nella società secolarizzata, ha assunto altri contorni.

Il riposo settimanale, di regola domenicale, è stato sancito come tutela dei lavoratori da gran parte dei sistemi giuridici dei paesi industrializzati occidentali, ma in modo disgiunto dal valore biblico dello “shabbat”.

Il problema della festa ha attinenza alla fede cristiana, ma si interseca con aspetti economici, etici e culturali. Si tratta di recuperare un rapporto di armonia con il tempo: il suo essere rottura con la quotidianità, trascendimento del piano economico-produttivo e quindi memoria di gratuità.

A livello cristiano se non si vive la domenica non si può neppure vivere la realtà comunitaria. In tal caso la fede rischia di ridursi a riferimento individuale di uomini e donne a Gesù di Nazaret.

Un aspetto particolare è certamente dato dalla questione del lavoro commerciale festivo.

Le visite ai vari «mercatoni» e le partite di pallone non possono rimpiazzare e snaturare il vero senso della festa domenicale o della ricorrenza periodica e annuale!

III. La Fragilità

Le acque mi hanno sommerso fino alla gola, l’abisso mi ha avvolto, l’alga si è avvinta al mio capo.(…) Quando in me sentivo venir meno la vita, ho ricordato il Signore. La mia preghiera è giunta fino a te, fino alla tua santa dimora. (Gn. 2,6.8)

12) La storia di Giona è quella di un uomo fragile, che sente grave il peso di annunciare la Parola di Dio ad un popolo peccatore.

Ma ogni uomo, in ogni età della sua esistenza, si scopre fragile, a fronte delle prove e delle difficoltà della vita; queste prove, se non sono sostenute da una fede forte, da una grande forza di volontà e da ideali significativi, possono portare alla disperazione.

I marinai non rimproverano Giona per la sciagura che lui ha provocato con la sua disobbedienza a Dio, mettendo a repentaglio la loro vita; cercano di salvarlo fino all’ultimo remando verso riva; è questo l’atteggiamento che ha sempre caratterizzato lo stile cristiano, e in genere dell’uomo religioso, nei confronti di chi si trovi in condizione di disagio: lottare per porre un argine a ciò che ci piega.

13) Dopo che il Profeta viene gettato in mare dai marinai a malincuore, il mare si calma e Dio dispone che Giona sia inghiottito da un grosso pesce; da lì, dalle viscere del cetaceo, quando ormai si sente spacciato, come ogni persona che si trovi a sperimentare la sconfitta e vede di fronte a sé la morte, eleva a Dio la preghiera da cui ho estratto i versetti in apertura di questa parte dedicata alla fragilità, un altro degli àmbiti di Verona.

Nella prova e nelle condizioni di disagio l’uomo sperimenta l’abisso della vita, il luogo di maggior lontananza da Dio.

Ma proprio quando sperimentiamo la fragilità, quando sentiamo venir meno la vita, allora ci ricordiamo del Signore ed eleviamo a Lui la nostra supplica e non attingiamo da schemi o da formule, ma dal profondo del nostro essere gridiamo la nostra richiesta con tutta la fiducia e la speranza di cui siamo capaci.

14) La fragilità la sperimentiamo dalla nascita alla morte.

Già dal momento della gravidanza una donna prova, accanto al desiderio del figlio, tutte le paure legate alla sua crescita, allo sviluppo, alla salute del bambino, comincia a proteggerlo e a fare tutte le cure e tutti gli accertamenti; è fragile la madre ed è fragile la vita che porta in grembo.

Se non si sperimenta la vicinanza non solo della famiglia ma dell’intera comunità, il peso delle preoccupazioni, ragionevoli o meno, può diventare insopportabile e schiacciare chi non è riuscito a sostenerlo.

14) Oggi ha assunto una rilevanza non trascurabile la cura degli anziani e dei malati, a motivo dell’allungamento dell’età media e di farmaci e strumenti tecnici che hanno risolto tanti problemi; ma in molti casi la tecnologia e la medicina più avanzata ci mettono in condizione di mal sopportare una malattia che si protrae oltre un ragionevole decorso naturale.

Ci si ritrova così su un letto di morte, non più per qualche giorno o settimana, come avveniva un tempo, ma per mesi, se non addirittura per anni.

In molti casi diventa assordante il grido disperato di chi chiede con insistenza di essere aiutato a morire, come ci attestano fatti di cronaca che hanno suscitato ampi dibattiti negli ultimi mesi.

L’insegnamento costante della Chiesa in tale materia è chiaro e conosciuto: l’uomo non può disporre liberamente neppure della sua vita e neppure quando questa diventa insopportabile, perché appartiene a Chi l’ha donata e che solo decide i tempi del nascere e del morire.

La testimonianza della comunità cristiana offre speranza a chi vive situazioni di fragilità e mette in atto alcune linee di azione all’interno delle stesse comunità, ma anche al di fuori di esse.

Pastoralmente vanno individuati luoghi di testimonianza cristiana e di speranza ove avvengano incontri con le fragilità:

  • le celebrazioni liturgiche, in particolare la Messa festiva, ove esprimere cordialità e accoglienza verso le persone più fragili, quasi sempre ignorate o isolate;
  • le associazioni, i gruppi, i movimenti e gli altri servizi parrocchiali ove esprimere attenzione alle varie forme di fragilità di tutte le età che frequentemente vi approdano o di cui si viene a conoscenza;
  • l’ascolto, l’amicizia offerta e non di rado accolta e contraccambiata, possono diventare stimoli a conoscere la sorgente di una disponibilità inconsueta;
  • l’esperienza del volontariato ha una forte valenza testimoniale e di apertura alla speranza, perché mette insieme la generosità di molti e le necessità di poveri e sofferenti. Tuttavia le iniziative e le opere di ispirazione cristiana non devono sostituirsi al servizio dovuto dalle Istituzioni Pubbliche;
  •  l’incontro con le diverse forme di fragilità è un luogo di speranza e di testimonianza cristiana, in particolare con la malattia fisica e mentale invalidante e le varie forme di sofferenza;
  • il dialogo fra le varie religioni o con i non credenti;
  • sono tanti i modi di seminare speranza, anche l’incontro e il dialogo con i separati e divorziati è da sostenere: queste persone continuano a far parte della comunità cristiana e sono membri preziosi del corpo del Signore.

IV. La tradizione

Quelli che onorano vane nullità abbandonano il loro amore. (Gn. 2, 9)

17) Una società può auto-rigenerarsi solo se è in grado di conoscersi fino in fondo, nella sua dimensione storica, religiosa, culturale.

Questa conoscenza si deve necessariamente ancorare al passato e proiettarsi verso il futuro; tutto ciò che è stato elaborato da chi ci ha preceduto è il bagaglio imprescindibile a cui dobbiamo fare riferimento per poter continuare il cammino.

Questo patrimonio vitale e culturale della società viene veicolato dai mezzi di comunicazione, dalle istituzioni scolastiche e universitarie e dalla famiglia. È in questi contesti che le giovani generazioni apprendono la loro vera identità, si conoscono e si comprendono.

18) Giona è dentro il pesce e rivolge a Dio una bella preghiera: è l’orazione di chi si scopre limitato e comprende l’errore commesso.

Capisce che avrebbe dovuto accogliere l’invito di Dio a «trasmettere» ai niniviti l’annuncio della salvezza che passa attraverso il pentimento.

Il patrimonio che si possiede è la radice della propria identità, ma non può essere custodito gelosamente fino a nasconderlo; va trasmesso a tutti coloro che possono averne bene, anche se di altri orientamenti.

Il Profeta è quasi alla fine della sua preghiera, poco prima che Dio disponga che il pesce lo rigetti sulla terraferma, e proclama:«Quelli che onorano vane nullità abbandonano il loro amore».

La tradizione non può essere meccanica ripetizione di ciò che si è sempre fatto, come accade in molti casi nelle nostre Parrocchie, si rischia così di onorare il nulla senza tenere presente ciò che veramente conta, e che è il fine ultimo del nostro impegno.

19) La famiglia non sempre è in grado di trasmettere i valori su cui si fonda essa stessa e il luogo in cui è inserita insieme ad altre famiglie.

Sembra che sia piuttosto percepita come realtà legata ad un certo tipo di società che non è più pensabile e attuabile e quindi è da rimodulare secondo esigenze nuove e pretese che sono considerate degne di essere garantite.

Ho già trattato ampiamente della famiglia nella lettera che le ho dedicato alcuni anni fa e a quel testo rimando per l’importanza di alcune intuizioni che vi sono contenute; qui desidero solo ricordare il grande valore educativo che essa ha per sua stessa natura.

I bambini e i giovani in famiglia apprendono le prime e più importanti lezioni di vita, l’educazione ai valori religiosi e civici, sperimentano la protezione degli affetti, colgono il significato dello stare insieme, del mutuo soccorso nelle difficoltà, dell’aiuto nella sofferenza, dell’ultimo abbraccio alle persone anziane che si congedano da questa vita.

I bambini e i giovani stabiliscono ancora oggi come nel passato quella complicità unica e – si potrebbe dire – primordiale con i nonni, autentici «narratori» di fatti veri o leggendari che appartengono al bagaglio della loro memoria e delle loro esperienze.

Minare alla base l’istituto familiare potrebbe significare la definitiva demolizione di un intero sistema di trasmissione non solo di memorie e di valori, ma anche di quella speranza che può dare un autentico aiuto ai giovani, perché vedano come una grazia la vocazione al matrimonio e all’amore.

20) Gli stessi giovani che ricevono in famiglia la prima educazione sono poi affidati alla scuola e all’università perché provvedano a completare, anche dal punto di vista scientifico, la loro formazione integrale.

Anche nella nostra città di Rieti, da qualche anno, è in funzione con un certo successo l’esperienza universitaria, che garantisce ai nostri giovani la possibilità di una formazione, prevalentemente tecnica, senza dover affrontare il disagio e le spese di recarsi altrove.

Ma proprio l’esclusiva offerta formativa di tipo tecnico-scientifico fa emergere in molti di loro la domanda di approfondire anche altri aspetti della vita sui quali hanno modo di interrogarsi, proprio perché sentono la necessità di essere pronti per la vita e non solo per l’attività lavorativa che pure è importante.

Sarebbe molto positivo che le autorità accademiche del nostro polo universitario, d’intesa con gli interlocutori politici, prevedessero momenti di formazione e di dialogo su temi anche di scottante attualità e particolare interesse.

La nostra Diocesi è orientata a mettere a disposizione energie e personale per progettare e realizzare percorsi ed esperienze di ampio respiro sui temi di attualità che richiedono sia competenze tecniche che di ordine etico.

21) Anche i mezzi di comunicazione sono oggi di una utilità troppo spesso sottovalutata, proprio per la trasmissione di quei valori, non solo religiosi ma anche squisitamente umani, in ordine all’attività pastorale della Chiesa locale.

Lo sforzo anche economico che la nostra Diocesi sostiene con il periodico «Frontiera» non è sufficiente per arrivare a tutti, perché a tutti dobbiamo cercare di parlare del Vangelo e della Chiesa, per trasmettere quel messaggio antico e sempre nuovo che viene da Gesù, il centro della nostra attività e della nostra vita.

22) Il messaggio centrale del libro di Giona è proprio quello dell’annuncio della Parola di Dio: «Alzati, va’ a Ninive la grande città e in essa proclama che la loro malizia è salita fino a me» (Gn. 1,2).

Tradizionalmente l’annuncio è stato sempre inteso come insegnamento della Chiesa attraverso i modi consolidati della predicazione e della catechesi, che sono e restano imprescindibili, svolti nei luoghi a ciò deputati.

Ma nel contesto odierno prescindere dai mezzi di comunicazione di massa implica rinunciare a straordinarie possibilità di far crescere la nostra comunità e dialogare con coloro che sono lontani. L’impresa del Profeta, che ricorda per certi versi il personaggio manzoniano dei Promessi Sposi, don Abbondio, con la sua paura di affrontare gli aspetti più rischiosi del suo ministero, è rivolta proprio ai lontani.

E Dio si serve di una forma di comunicazione nell’antichità molto diffusa: l’annuncio nelle pubbliche vie, che oggi non deve interpretarsi alla lettera, anche perché non sembrano esservi le condizioni, ma un annuncio rivolto a tutti con i mezzi che ci sono messi a disposizione dalla tecnologia, tenendo sempre presente la cultura, il dialogo e il confronto aperto e accogliente con l’interlocutore: questo dobbiamo farlo!

V. La Cittadinanza

«Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore. Ninive era una città molto grande, di tre giornate di cammino» (Gn.3,3)

23) Forse come non mai, nel contesto attuale, sentiamo tutti molto forte l’esigenza di difendere e valorizzare le nostre identità peculiari e al contempo non possiamo prescindere dal confronto e dalla conoscenza di un più vasto contesto, quello globale.

Certamente sono gli stessi mass-media che ci danno l’opportunità di conoscere in tempo reale ciò che accade in ogni “angolo” della terra.

Ci sentiamo cittadini del nostro ambiente particolare, e insieme cittadini del mondo; un mondo che ci viene dentro casa con la televisione e internet, un mondo che noi possiamo esplorare con questi mezzi, ma anche raggiungendo luoghi lontani in poche ore e senza sforzi fisici ed economici particolari, con i mezzi di trasporto più sofisticati. Siamo cittadini del mondo e del nostro quartiere!

24) Giona finalmente si decide a fare quello che Dio gli ha comandato. Ninive si poteva percorrere in tre giorni.

Oggi in tre giorni andiamo e torniamo da una parte all’altra del pianeta.

Il numero tre, come i tre giorni di permanenza nel ventre del pesce o di permanenza di Cristo nel sepolcro, ha una funzione didattica e teologica molto importante: indica la pienezza, il tempo necessario e sufficiente.

I cittadini di Ninive sono impegnati nelle loro faccende e a compiere il male che Giona avrebbe dovuto combattere.

L’annuncio del Profeta non è per niente allegro e incoraggiante: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta» (Gn. 3, 4).

I niniviti, contrariamente alle previsioni del Profeta svogliato e sfiduciato, credono al suo annuncio, forse sono colpiti dalla minaccia, forse sanno di aver compiuto troppo male, e iniziano un digiuno, tutti, compreso il Re e gli animali.

È grottesca e curiosa l’immagine di animali coperti di sacco, come gli uomini, a digiuno come gli uomini: come il male ha pervaso ogni cosa, così l’espiazione deve riguardare tutti.

È una provocazione ai profeti che annunciano la Parola: anche se non siete convinti, Dio può volere che i peccatori si convertano e che il vostro sforzo raggiunga obiettivi che neppure osate immaginare.

La città, unita nel male e nella violenza, ora è unita nella penitenza e nella conversione. Nutre la serena fiducia che quel Dio sconosciuto possa ritirare la minaccia della distruzione.

Tutti prendono coscienza di ciò che sta accadendo, anche il Re: «Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere.

Poi fu proclamato in Ninive questo decreto, per ordine del re e dei suoi grandi: «Uomini e animali, grandi e piccoli, non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua». (Gn 3, 6-7).

La città sperimenta la crisi ed è pronta ad adottare l’unica soluzione che sembra praticabile: cambiare vita, convertirsi, tutti, incluso il Re e i suoi grandi, come dice la traduzione del testo sacro.

25) La fede non è da tenere chiusa nel cassetto o relegata negli spazi angusti delle sacrestie, va testimoniata, praticata, difesa, sostenuta, anche in ambienti ostili e apparentemente impermeabili ad essa.

È troppo comodo e anche presuntuoso, oltre che privo di speranza, pensare che Dio non possa offrire a tutti, anche ai lontani, il suo perdono e il suo amore.

Ma Giona lo fa.

Dopo che, con sua grande sorpresa, si accerta che Dio ha perdonato ai niniviti e non distruggerà più la città, si dispiace, perché la sua predicazione ha avuto successo.

C’è poco da meravigliarsi, perché è spesso un atteggiamento che coglie di sorpresa anche noi cristiani, uomini e donne di Chiesa e di fede.

Conclusione: uscire dal ventre del pesce

Prima di salutare tutte le comunità cristiane che vorranno riflettere aiutate da queste annotazioni maturate successivamente al Convegno di Verona, vorrei brevemente sottolineare alcuni aspetti che mi sembrano importanti, in ordine al rinnovamento della pastorale diocesana alla luce delle conclusioni di Verona.

1) Pastorale della Vicinanza

È stato uno dei motivi conduttori del Convegno ecclesiale.

La Chiesa può veramente essere credibile solo se sa essere vicina ad ogni uomo e donna che vivono, lottano e sperano.

L’ascolto dei disagi, la condivisione del quotidiano, come naturale habitus, la condivisione della vita con i più poveri: la comunità cristiana come «locanda dell’accoglienza», questi sono i nostri obiettivi!

2) Formazione Integrale Permanente

Per la pastorale della vicinanza è necessario “perdere di vista il campanile”, lasciare le proprie sicurezze e sporcarsi le mani portando fuori la speranza.

Si parte dalla piazza, rilevando le varie urgenze, si entra in Chiesa per l’ascolto della Parola di Dio, per la preghiera, per una formazione continua mediante la Catechesi, dei giovani e degli adulti, mediante l’analisi e lo studio, l’arricchimento delle competenze, per «tornare a provocare la piazza con il valore aggiunto della fede».

Il Convegno di Verona ha richiamato ad una conoscenza più approfondita e sistematica della Dottrina Sociale della Chiesa, che deve essere uno degli obiettivi che nei prossimi anni gli uffici pastorali della nostra Chiesa dovranno perseguire.

Presbiteri, religiosi/e e laici non devono mai sentirsi compiutamente formati e preparati, ma in tutti i settori del sapere teologico, pastorale, culturale, sociale, devono sentirsi sempre bisognosi di formazione e di aggiornamento. Solo così sapremo affrontare il futuro!

3) Progetto Culturale

Il Convegno di Verona ha auspicato che il Progetto Culturale che la Chiesa italiana ha scelto circa un decennio fa, sia ampliato, arricchito e sviluppato.

Nella nostra Diocesi affiderò ad un ufficio, tra quelli previsti dal Sinodo, il compito di coordinare e realizzare significative iniziative ed esperienze in tal senso.

L’impegno educativo nella scuola e nell’università, l’impegno politico, la comunicazione, i beni culturali valorizzati per il loro profondo significato catechetico e religioso, devono diventare i precisi punti di riferimento per un Progetto Culturale orientato in senso cristiano, che richiede l’impegno e la collaborazione da parte di tutti i soggetti pastorali della nostra comunità cristiana.

4) Pastorale Integrata

La realizzazione, o il tentativo di attivare almeno questi processi pastorali, richiede una pastorale non più divisa per settori, come è stato fino ad oggi, per cui ogni ufficio, ogni gruppo o movimento, ogni parrocchia, hanno elaborato i loro progetti e hanno tentato di realizzarli, anche con buoni risultati, ma scollegati dal progetto della Diocesi e da tutti gli altri progetti e iniziative.

Sarà necessario attivare tutte le iniziative possibili, anche riunendo i vari responsabili periodicamente e a prescindere da organismi necessariamente istituzionali, per giungere ad una programmazione sia di obiettivi che di iniziative, con largo anticipo per ogni anno pastorale. Ciò richiede uno sforzo di programmazione anticipata in sede di Consigli pastorali e di zone.

L’organismo che si preoccuperà di coordinare la pastorale è il Consiglio Pastorale Diocesano, che ho recentemente costituito, anche sulla base delle indicazioni sinodali.

Affido queste riflessioni a tutta la comunità diocesana nel giorno della Festa della Presentazione di Gesù al Tempio, nel decimo anniversario del mio ingresso in Diocesi e in preparazione alla santa Quaresima.

Voglia il Signore, nella sua Provvidenza, comandare al pesce che ci restituisca all’asciutto, che dalla chiusura ci apriamo alla speranza, che dall’attesa di fatti straordinari ci disponiamo a lavorare nel quotidiano, che dal torpore ci impegniamo nell’azione generosa e appassionata, per testimoniare la nostra speranza che è Cristo Risorto a quanti incontriamo nel nostro cammino.

Tutti saluto e benedico nel nome del Signore!
Rieti, dal Palazzo Vescovile, 2 febbraio 2007, Festa della Presentazione di Gesù al Tempio. Decimo anniversario del Mio ingresso in Diocesi.

Delio Lucarelli

Vescovo