Le consultazioni sono un rito che accompagna e scandisce il percorso, spesso contorto, che porta alla formazione di un governo. Nel caso di quello che sarà guidato da Mario Draghi, si aggiungono altri fattori caratteristici: la statura del premier incaricato e la reale possibilità di incidere per tutte le componenti parlamentari. Alessandro Fusacchia, capogruppo della componente Centro Democratico – Italiani in Europa e vicepresidente del Gruppo Misto della Camera, ha accettato di raccontare l’incontro con l’ex presidente della Bce.
Può descrivere il clima in cui si svolgono le consultazioni con il presidente incaricato Draghi?
Lo abbiamo incontrato per una quarantina di minuti, ci ha accolto porgendoci il gomito per il saluto. Ci ha messo da subito a nostro agio: ha detto che aveva intenzione soprattutto di ascoltarci, e si percepiva l’interesse genuino e l’assenza di retorica. È stato un incontro molto ristretto – eravamo solo Bruno Tabacci ed io, in rappresentanza della componente più numerosa che c’è adesso al Gruppo Misto della Camera. Tabacci e Draghi si conoscono da quando io andavo all’asilo, ma il presidente Draghi ha tenuto a far sentire benvenuto anche me. Mi è venuto per questo naturale iniziare il colloquio da un piccolo ricordo.
Quale?
Ho ricordato al presidente Draghi dove si trovasse il 15 aprile del 2011. In una grande sala a Washington DC. Io mi trovavo dentro quella stessa sala. Lui stava seduto al tavolo, io non troppo lontano, alle spalle del ministro delle finanze dell’Ungheria, che aveva la presidenza di turno dell’Unione europea. Eravamo ad una riunione dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali del G20. Draghi era il governatore di Bankitalia ed io un giovane funzionario del Segretariato del Consiglio dei Ministri dell’UE, dove seguivo l’Ecofin e l’Eurogruppo. In una pausa dei lavori mi avvicinai a Draghi per invitarlo ad un evento che stavamo organizzando per conto di un’associazione – RENA – che si occupava di mobilità sociale e rinnovamento del Paese. Gli lasciai la lettera d’invito e mi disse di risentirci più avanti. Poco dopo fu designato ufficialmente alla presidenza della BCE. Gliel’ho raccontata così, mi ha sorriso.
Quali priorità ha indicato?
La Pubblica Amministrazione, anzitutto. L’arrivo di Draghi sta creando aspettative altissime, ed è normale considerando la credibilità e l’autorevolezza con cui si è presentato al Quirinale qualche giorno fa. Ma la macchina che dovrà attuare i suoi provvedimenti è la stessa di prima. I ministeri sono luoghi sempre più ingarbugliati, stanchi, inadeguati ad affrontare le sfide che abbiamo davanti nonostante il valore di tanti singoli funzionari e dirigenti che vi lavorano. Draghi viene dal Mef e da Bankitalia, ma quante sono le amministrazioni centrali dello Stato con quella solidità? Ci ho tenuto a rappresentare al presidente incaricato che negli anni in cui lui era alla BCE io ho potuto osservare da vicino, rientrando da Bruxelles in Italia proprio pochi mesi dopo quell’incontro a Washington DC per finire a lavorare con più ministri – prima allo sviluppo economico, poi alla Farnesina, e infine al ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca – come l’amministrazione italiana si sia molto deteriorata e quanto il lavoro del governo e del parlamento per compartimenti stagni invece che per sfide sia sempre più inefficace. Ho pure molto insistito sui dati. Draghi ha costruito il prestigio della BCE sul suo coraggio e la sua determinazione, ma anche su dati e analisi che nessuno poteva contestare. Con molti colleghi alla Camera abbiamo chiesto negli ultimi mesi un sistema di raccolta e gestione dei dati sanitari in formato aperto. Draghi non è l’unico ad avere contezza di quanto sarebbe importante una politica degli open data, ma è forse l’unico che oggi avrebbe la forza per introdurre in maniera strutturale questo cambiamento epocale dentro lo Stato italiano.
Gli avete parlato del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza?
Non siamo entrati nei contenuti specifici. Ho invece avvertito l’urgenza di condividere un ragionamento sul metodo. Perché in Italia non abbiamo mica ancora capito che gli oltre 200 miliardi di euro non sono affatto scontati e che per averli non basterà annunciare per titoli come li spenderemo. Il PNRR va costruito a partire dai risultati che ci aspettiamo di raggiungere, e quindi investimenti ma pure riforme. Chi crede che il lavoro di Draghi e del nuovo governo sia solo quello di fare un tagliando alla collezione di progetti che c’è allo stato attuale non ha capito granché del compito che ci aspetta. C’è tutta un’impostazione da rivedere, c’è tutto un dialogo serrato da aprire con le parti sociali e le organizzazioni della società civile. Il PNRR non è un compitino a casa che Bruxelles ci ha dato da fare. È lo strumento con cui permettere ad ogni cittadino di ritrovare un proprio spazio nella società.
Lei siede in Commissione Istruzione, in passato è stato capo di gabinetto al Miur. Gli ha parlato anche di scuola?
Soprattutto di scuola. Ho detto al presidente Draghi che non mi appassiona il dibattito sui banchi a rotelle, mentre mi interessa molto di più ciò che qualche settimana fa studentesse e studenti sono venuti a dirci in audizione in Commissione. Chiedono un sostegno psicologico, su questo serve subito un piano nazionale. Perché ci stiamo perdendo i ragazzi che sono più “fortunati” per contesto familiari e condizioni economiche, figuriamoci tutti gli altri! Ho chiesto una ricognizione capillare per verificare cosa sia successo in questi mesi in ogni classe di ogni scuola d’Italia, che serva come base per programmare azioni di recupero dei debiti formativi che si sono inevitabilmente accumulati in questi mesi nonostante l’enorme sforzo fatto da tanti docenti. E poi ho molto insistito sulla necessità di programmare subito le attività fino all’estate e di far partire ciò che serve affinché il prossimo primo settembre tutti i docenti siano davvero al loro posto per l’avvio del nuovo anno scolastico, evitando i ritardi di tante settimane che si sono verificati quest’anno nell’assegnazione di migliaia di cattedre.
E come sono state accolte queste proposte?
All’inizio dell’incontro Draghi ha condiviso la sua lettura di quello che sta succedendo in Italia e in Europa, quasi a stabilire la cornice all’interno della quale situare i nostri interventi, ma non ha fatto una sua replica finale, anche perché ci sarà probabilmente un secondo giro di consultazioni. Ha ascoltato e registrato. L’ho trovato molto attento su tutto, e soprattutto sulla scuola. Del resto, sono anni che regolarmente torna sulla centralità delle nuove generazioni e dimostra di avere molto chiaro che la sfida è come attrezzare i giovani per affrontare qualsiasi mondo si ritroveranno davanti al termine degli studi. C’erano due funzionari della Camera a verbalizzare tutto, ma dopo qualche minuto ha preso un foglietto e si è messo ad appuntare molte cose personalmente. Prima di entrare in politica ho avuto, nel corso della mia carriera, un paio di capi di primissimo livello. Conosco quel modo di prendere nota, quella capacità di messa a fuoco.
Avete affrontato anche il tema delle caratteristiche che potrà avere il governo?
Solo tangenzialmente. Ci ha chiesto se oltre ai temi avevamo riflessioni più politiche da condividere. Con Tabacci abbiamo detto che ci immaginiamo un governo tra il tecnico e il politico, più simile a quello di Ciampi che non a quello di Monti. Personalmente ci ho aggiunto un ragionamento sui “tesori sepolti” in Parlamento. Alla Camera ci sono tanti colleghi – e ancor più colleghe – particolarmente validi, ma che finora hanno potuto esprimere, per lo più a causa di partiti e movimenti a gestione oligopolistica, solo una piccola parte del loro potenziale, e che invece sarebbero capaci di proposte politiche innovative e di curare di più i rispettivi territori e pezzi della società civile. Sono convinto che Draghi possa contare su questa base diffusa e trasversale a tante forze politiche per portare avanti, valorizzando il ruolo del Parlamento, un programma di governo davvero all’altezza del momento storico che stiamo vivendo e fatto magari anche di alcune battaglie–faro, sul fronte della scuola o della cultura, della parità di genere, della transizione ecologica.
Si è fatto un’idea del possibile approdo finale di queste consultazioni?
Nascerà un governo e sarà più forte del Conte 2, come avevamo anche auspicato con la collega Rossella Muroni con un editoriale pubblicato proprio su Fortune Italia a metà gennaio. Ma servirà fare tutti noi parlamentari la nostra parte per costruire le condizioni affinché il nuovo governo lavori bene. Draghi manterrà il suo stile, parlerà poco ma ogni parola sarà esatta e peserà. Qui conta l’allenamento fatto ogni giorno per quasi dieci anni alla BCE, dove anche solo una parola fuori posto poteva avere conseguenze gravi sui mercati. Farà parlare i fatti. Sono sicuro che ci sorprenderà.
da fortuneita.com