Giugno Antoniano

«Città di Rieti, alzati!»: dal Giugno Antoniano, l’invito di padre Raniero Cantalamessa

Il Giugno Antoniano letto da padre Raniero Cantalamessa suona come un invito forte a “rialzarsi” accogliendo l’invito di Gesù nel brano evangelico della liturgia domenicale

L’aria di festa, in piazza Mazzini che per il secondo anno sostituisce il rione San Francesco, si avverte tutta nella domenica clou dei festeggiamenti antoniani, nonostante tutte le limitazioni dovute alla situazione particolare. Anche con la distribuzione della cioccolata nel chiostro, tradizione recuperata pur se i bicchieri col gustoso “squaglio” e i biscotti del forno Flammini si possono distribuire solo con asporto.

Dopo le celebrazioni liturgiche mattutine, il pontificale delle 18 con il cardinale Raniero Cantalamessa. Il cappuccino predicatore della Casa Pontificia, elevato alla porpora nel novembre scorso, che è di casa a Cittaducale presso l’eremo delle monache clarisse di cui è direttore spirituale, arriva accompagnato da monsignor Pompili, al quale rivolge il saluto come «il mio vescovo, a duplice titolo: primo perché, quando non sono nella mia comunità religiosa a Roma o impegnato nella predicazione, risiedo a due passi da qui, nella sua diocesi, secondo, perché da qualche tempo è anche amministratore della mia diocesi nativa che è Ascoli Piceno».

Un invito forte, da padre di padre Raniero, a “rialzarsi” dalle morte, accogliendo l’invito di Gesù nel brano evangelico della liturgia domenicale: «Non c’è solo la morte del corpo, c’è anche la morte del cuore e dell’anima. La morte del cuore è quando si vive nell’angoscia, nello scoraggiamento o in una tristezza e inerzia cronica. A me viene da tradurre così oggi quel grido di Gesù: città di Rieti, alzati! Italia, alzati!». Una “morte del cuore”, secondo Cantalamessa, che si sta vivendo «non solo come individui singolarmente presi, ma anche come comunità ecclesiale e come società civile. È scomparso dalla nostra società ogni slancio, si è impoverita la capacità creativa».

E il grido di Gesù alla figlia di Giairo “Talità Kum! Fanciulla alzati” va sentito come rivolto «in particolare ai giovani e alla ragazze di oggi». E a sant’Antonio, che nella devozione popolare è invocato anche come il santo che fa «ritrovare le cose perdute», il porporato invita a chiedere «di farci ritrovare la cosa più preziosa che abbiamo smarrito: la speranza!». Anche la «risurrezione del cuore», infatti, può avvenire. Di qui l’invito a chiedere al santo «le altre cose che ci stanno a cuore: il lavoro per chi lo ha perso o non l’ha ancora avuto, la salute, la pace e la concordia in famiglia, la fine della pandemia».

Al termine della liturgia, il saluto del vescovo Domenico, con il grazie al cardinale per «aver reso presente con la sua parola sapiente e carismatica il dono della predicazione». Pompili ha indicato un parallelo tra sant’Antonio e padre Raniero: «come, infatti, davanti a Gregorio IX, sant’Antonio tenne le sue prediche, così Lei è da decenni il predicatore della Casa Pontificia. E stasera con la sua presenza amabile e discreta ha indirizzato i nostri cuori a “toccare” la santità di un uomo che è da secoli il riflesso trasparente della santità di Dio».

E a proposito del “toccare”, il vescovo è tornato sul tema della mancata processione: ringraziando le autorità per l’impegno speso e per aver convenuto che fosse il caso di rinunciare. Ad «una valutazione più oculata – ha detto il vescovo – va riconosciuto che una processione… senza la processione è una contraddizione in termini, tale da generare una delusione ben peggiore di quella che patiamo ora».

Bene che tutto sia rinviato «a pandemia conclusa realmente e globalmente»: solo allora «torneremo a vivere l’antica processione dei ceri nella sua originale espressione di pietà popolare che neanche le trasformazioni degli ultimi decenni è riuscita a modificare».

Nell’attesa, don Domenico ha invitato all’impegno per scongiurare alcune “processioni secolari”, altrettanto impregnate dall’inedita crisi sanitaria ed economico-sociale: «la processione di quelli che cercano lavoro, la processione dei poveri alla mensa di Santa Chiara, la processione dei drogati e degli spacciatori; la processione dei ludopatici davanti alle slot machine e ai “gratta e vinci”, la processione dei debitori e degli usurai, la processione degli anziani che hanno bisogno di cura e di sostegno».

«Preghiamo – ha concluso monsignore – sant’Antonio perché ci si attivi tutti, ai diversi livelli, per scongiurare queste inutili “processioni” e così il prossimo anno vivere in pienezza il senso autentico della festa di Sant’Antonio. Sarebbe il segno che siamo veramente fuori da una emergenza che mai avremmo immaginato di vivere».