Intrecci

Caino non abbia l’ultima parola

Convivere con il Caino che circola pressoché indisturbato dai confini orientali dell’Europa al Medio Oriente, dall’Africa all’America, significa documentare e raccontare la sofferenza che il malvagio semina nel mondo

Il 19 novembre 2001 sulla strada che porta a Kabul veniva uccisa con altri tre colleghi Maria Grazia Cutoli, inviata del Corriere della Sera. Lo stesso giorno, il quotidiano di via Solferino pubblicava il suo ultimo articolo che riguardava la scoperta di un deposito di gas nervino nella base di Osama bin Laden. Sono trascorsi venti anni da quel giorno e il nome di Maria Grazia Cutoli è nel lungo e ancora aperto elenco di giornalisti uccisi perché si erano avvicinati troppo a verità scomode. Tra queste morti rimaste senza risposta ci sono quelle di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin assassinati a Mogadiscio nel 1994.

In memoria di Maria Grazia Cutoli è stato istituito un premio giornalistico che il 13 novembre. giunto alla sua diciassettesima edizione, è stato assegnato a Francesca Mannocchi di cui sono noti i servizi da terre e popoli martoriati da guerre e terrorismi. È sempre negli occhi quello sulla tragedia all’aeroporto di Kabul caduta nelle mani dei talebani dopo il ritiro degli Usa.

Nel 2017, a 39 anni, veniva diagnosticata a Francesca Mannocchi la sclerosi multipla che lei stessa racconta nel libro autobiografico “Bianco è il colore del danno”. Consapevole di una malattia potenzialmente degenerativa non ha rinunciato a stare dentro diverse tragedie per raccontarle nell’intento di risvegliare, con il linguaggio giornalistico, coscienze assopite o distratte.

C’è un’alta lezione di vita e di pensiero che viene da questa donna che, documentandola e narrandola, si è fatta e continua a farsi portavoce di un’immensa sofferenza umana e nello stesso tempo lotta contro un male che è dentro di lei.

In una recente intervista affermava: “Non siamo invincibili. Viviamo in corpi finiti. In corpi talvolta ostili. Gli ultimi mesi, per di più, ci stanno insegnando che il male sviluppa delle varianti, e che gridare ‘missione compiuta’ è solo l’ennesimo tentativo di non affrontare la prova davvero difficile, cioè imparare a convivere con Caino”.
Il riferimento è al tempo e allo spazio della pandemia ma si allarga ad altri tempi e altri spazi. Convivere con il Caino che circola pressoché indisturbato dai confini orientali dell’Europa al Medio Oriente, dall’Africa all’America, significa documentare e raccontare la sofferenza che il malvagio semina nel mondo.

Potrebbe sembrare un esercizio inutile, l’ennesima utopia, l’ennesima ingenuità: c’è qualcuno, come Francesca Mannocchi sta dicendo con la propria vita e la propria professione che non si può, non si deve, lasciare a Caino l’ultima parola.