Burundi, p. Pulcini, “la grande paura è il ritorno del problema etnico”

Con una deriva autoritaria c'è il rischio che il Paese si isoli sempre di più dalla comunità internazionale avviandosi verso "una catastrofe economica", con la conseguenza del ritorno del "problema etnico": padre Mario Pulcini, missionario saveriano in Burundi da 30 anni, esprime al Sir i suoi timori dopo l'esito positivo del referendum del 17 maggio per la modifica della Costituzione, che dà la possibilità al presidente Pierre Nkurunziza di governare fino al 2034.

“La speranza è che chi governa il Burundi si apra alla comunità internazionale, all’Ue, all’Onu, per il bene del Paese. Altrimenti si rischia di andare verso la catastrofe in termini economici. E poi che si possa ripresentare il problema etnico: quella è la grande paura”. A parlare dalla sua parrocchia di Kamenge, nella diocesi di Bujumbura, in Burundi, è padre Mario Pulcini, superiore regionale dei saveriani del Burundi, dove vive da 30 anni. Il missionario bergamasco conosce bene la realtà del suo Paese d’adozione: ora è preoccupato per gli scenari che potrebbero aprirsi dopo gli esiti positivi del referendum voluto dal presidente Pierre Nkurunziza il 17 maggio scorso, che gli permetterà di modificare la Costituzione e governare per altri due mandati di 7 anni, vale a dire fino al 2034. Secondo le organizzazioni per i diritti umani il voto è stato condizionato dal clima di paura e dalle intimidazioni nei confronti degli oppositori. Si parla di almeno 15 persone uccise e migliaia di persone costrette alla fuga nei Paesi vicini. Già prima la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sul Burundi denunciava centinaia di esecuzioni extragiudiziali, migliaia di arresti arbitrati, sparizioni e torture. Nell’ottobre 2017 i giudici del Tribunale penale internazionale hanno autorizzato un’indagine sui crimini commessi in Burundi dall’aprile 2015 ma due giorni dopo il Burundi si è ritirato dal Tribunale. Molti osservatori descrivono il governo del presidente Nkurunziza, 54 anni, caratterizzato da autoritarismo e culto della personalità. Attivo seguace delle nuove Chiese evangeliche pentecostali, si definisce “guida suprema ed eterna”.

Molti ritengono che il referendum del 17 maggio sia stato una farsa. Cosa succederà ora?

Finora non è stato dato ancora l’esito ufficiale del referendum. Avere notizie sicure è impossibile. Hanno fornito delle cifre alla televisione ma notiamo che, pur ritenendosi vincitori, si sentono in difficoltà. Non sono soddisfatti perché si sono resi conto che la gente non era favorevole al referendum.

Troppi sono stati obbligati a votare “sì” per paura, per le minacce ricevute.

Si sono resi conto che hanno forzato troppo la mano e che probabilmente la maggioranza della popolazione è contro. Prima del referendum è stato impressionante vedere alla tv governativa la marea di gente che partecipava ai meeting dell’opposizione.

Dietro il referendum ci sono intenzioni ancora più autoritarie?

Sì certo. Poi ovviamente ci sono quelli seduti alla stessa tavola che hanno i loro interessi. Vorrei sottolineare, come hanno fatto i vescovi del Burundi prima del referendum, che per arrivare ad un equilibrio attraverso gli accordi di Arusha si è investito tanto; anche i Paesi vicini, l’Onu, l’Ue hanno fatto un lavoro duro e difficile. Tutto questo è stato cancellato dal referendum. È stato un affronto per tutti. Era stato stabilito un equilibrio tra le etnie, nella politica, tra i militari, dell’amministrazione e bisognerebbe mantenerlo.

Invece così si va verso una monarchia con un presidente che si dichiara “dio in terra”.

Sono stati violati anche i diritti umani, con uccisioni, arresti e persone in fuga.

Sì ce ne sono stati tanti, anche se continuano a smentire.  Si parla di migliaia di persone fuggite per paura, molti dei quali erano sostenitori del “no” al referendum.

Il padre di Nkurunziza è stato ucciso durante i massacri degli hutu nel 1972. Il ricordo del passato ancora brucia: c’è anche una componente etnica nella vicenda? 

Sicuramente, anche per i rapporti con il vicino Rwanda. Qui molti non si sentono al sicuro e scappano. Perché non si sa cosa ci sarà domani.

Voi missionari avete paura?

Non abbiamo paura però dobbiamo fare le debite e giuste attenzioni. Non prendiamo mai posizione in chiesa. Ma quando non vengono rispettati i diritti umani interveniamo, in accordo con i nostri pastori. Bisognava avere un po’ più di pazienza e buon senso e non cancellare un lavoro di anni con un referendum farsa.

C’è il rischio che il Burundi si isoli dai Paesi vicini, dalla comunità dei Grandi laghi. Questo non dà sicurezza.

I vescovi hanno pubblicato una nota dicendosi contrari al referendum. Poi nulla. Diranno qualcosa?

Può darsi che i vescovi faranno qualcosa, per ora stanno in silenzio a guardare cosa decideranno di fare. Per capire per quale motivo è stato fatto il referendum: per mantenere il potere? per quale politica? Riusciranno ad andare avanti con questa opposizione?

Quale scenario intravede?

La speranza è che chi governa si apra alla comunità internazionale, all’Ue, all’Onu per il bene del Paese.

Altrimenti si rischia di andare verso la catastrofe in termini economici. E poi che si possa ripresentare il problema etnico: quella è la grande paura.