Barconi: è tempo che l’Ue pensi ad una vera cooperazione con L’Africa?

Barconi: è tempo che l’Ue pensi ad una vera cooperazione con L’africa? Il quesito è di grande attualità. Nel Canale di Sicilia si vedono ogni giorno carrette del mare cariche di donne, bambini soli, giovani stretti come delle sardine, ammucchiati come animali. Gente che quando non annega nel mare Mediterraneo, rischia di morire soffocata nei barconi.

La gelida determinazione degli scafisti lascia sconvolti. Riescono, imperterriti, a mercificare la vita umana. Sembriamo tornati all’epoca della “tratta dei neri”.

I migranti hanno ancora in mente una visione idealizzata dell’Europa. Ma nel continente trionfa un materialismo spietato, il culto del dio denaro. Sulla carta le varie Costituzioni europee mettono in primo piano i diritti della persona, ma nei fatti è il profitto a farla da padrone.

Difficile sapere cosa pensano i Governi dell’Africa sub-sahariana di fronte allo spettacolo di uomini e donne sfruttati e umiliati, feriti nella loro dignità umana. Più facile accorgersi di quanto siano accondiscendenti all’emorragia delle ricchezze delle loro nazioni. E le materie prime che provengono dall’Africa sono bene accolte alla frontiera di tutti gli Stati. È la manna che arriva dal Continente Nero per sfamare l’appetito delle multinazionali occidentali, dei faccendieri mediorientali, degli speculatori asiatici. Tutti soggiogati dalla bramosia, dall’avidità di soldi.

Queste materie prime non verranno mai respinte. Sacra è la libera circolazione delle merci, non quella delle persone. E guai a chi rifiuta di sottomettere il proprio sottosuolo, la propria agricoltura, la propria fauna alla prepotenza delle multinazionali. La stampa, gli esperti e gli intellettuali prezzolati fanno presto a sottolineare la “destinazione universale” dei beni della terra.

E se un Governo africano proprio non vuole adeguarsi, come minimo rischia di cadere, o peggio di dover assistere all’eliminazione fisica dei propri leader. È accaduto nella Repubblica Democratica del Congo con la morte di Patrice Lumumba nel 1961 e di Laurent Désiré Kabila nel 2000.

E se non basta si può star certi che arriverà una guerra interna provocata ad arte. Quella della Repubblica Democratica del Congo, aggredita dal vicino Ruanda e dall’Uganda è storia recente. Tragedie consumate sempre e solo perché gli avvoltoi possano saccheggiare le risorse.

5 milioni di congolesi inermi (donne, bambini e giovani) sono stati barbaramente trucidati da eserciti stranieri sotto gli occhi indifferenti della Comunità internazionale dal 1996 ad oggi. Più di tre milioni di profughi congolesi, per scampare alle fucilate, trovano la morte nella foresta equatoriale. Quando non li uccidono gli animali feroci, ci pensano la fame e le malattie.

E le donne subiscono la violenza continua delle milizie dispiegate in tutto il territorio congolese, specialmente ai confini con il Ruanda, con l’Uganda, con il Burundi. Ora, anche ai confini con l’Angola e il Congo Brazzaville, dal quale i congolesi della Repubblica Democratica del Congo sono stati espulsi.

Ma lo stesso scenario si ripete drammaticamente in tutta l’Africa: nel Mozambico, in Somalia, in Eritrea, nel Darfur, nella Repubblica Centroafricana, in Costa d’Avorio, ecc.

Le rare volte che arrivano alla televisione, queste storie ci commuovono, ci indignano, ci inquietano. Soprattutto quando un occidentale è stato rapito o trucidato. Ma quando i migranti si avvicinano alle coste dell’Europa, la parola “solidarietà” esce dal vocabolario. L’ha denunciato anche Papa Francesco, a Lampedusa, quando nel luglio 2013 ha celebrato la Messa in suffragio dei nostri fratelli africani annegati nel “Mare nostrum”.

Se davvero l’Unione Europea vuole una pace duratura e condivisa fra i popoli, si impegni a fermare le guerre. Potrebbe decidere di fermare la fabbricazione e la vendita delle armi all’Africa. Piuttosto l’Africa ha bisogno di trattori per arare le terre, di interventi per migliorare le proprie infrastrutture, di costruire strade e ponti, ospedali e scuole, università in cui formare medici, agronomi, tecnici, architetti.

Per risolvere i suoi problemi con l’immigrazione, l’Europa dovrebbe scegliere seriamente la strada della cooperazione. È con l’esportazione del “know how” che può arginare l’importazione di un’umanità squalificata. Diversamente continueremo a vedere i giovani africani raccogliere pomodori; e le ragazze africane condannate alla sporca industria della prostituzione. Ma chi rischierebbe di far questa fine pur di stare in Europa potendo studiare, lavorare e vivere dignitosamente in casa propria?

E se l’Europa s’arrischiasse a rispondere a questa domanda, non sarebbe già qualcosa?