Accoglienza

Arriva in Messico la carovana di profughi dall’Honduras, i vescovi: «Il Governo si è completamente ritirato»

L’arrivo della carovana dei migranti honduregni sta scuotendo il Messico e sta impegnando le strutture ecclesiali: le diocesi, i referenti della Mobilità umana e delle Caritas, ma anche e soprattutto parroci, religiosi e religiose, tanti laici, gente semplice che dona quello che può.

E’ una Chiesa che si scopre mobilitata e unita, quella messicana, interpellata dai poveri e chiamata a testimoniare il Vangelo qui ed ora, davanti a fratelli bisognosi di aiuto e in situazione di estrema sofferenza.

L’arrivo della carovana dei migranti honduregni sta scuotendo il Messico e sta impegnando le strutture ecclesiali: le diocesi, i referenti della Mobilità umana e delle Caritas, ma anche e soprattutto parroci, religiosi e religiose, tanti laici, gente semplice che dona quello che può.

«L’accoglienza della carovana degli honduregni è totalmente nella mani della Chiesa. E sono soprattutto i poveri ad aiutare altri poveri». Lo dice mons. Guillermo Ortiz Mondragón, vescovo di Cuautitlán e incaricato per la Dimensione della mobilità umana, nell’ambito della Pastorale sociale dell’episcopato messicano.

«Siamo soli, il Governo si è completamente ritirato, e del tutto assente, ma non si vedono neppure le organizzazioni internazionali e dei diritti umani. Siamo rimasti solo noi, le parrocchie, tanti volontari laici, il mondo lo deve sapere! – grida al telefono padre César Augusto Cañaveral Pérez, coordinatore della Mobilità umana della diocesi frontaliera di Tapachula -. Ma non abbiamo paura, si tratta di vivere il Vangelo».

Toni magari diversi, ma la sostanza è la stessa. E’ una Chiesa che si scopre mobilitata e unita, quella messicana, interpellata dai poveri e chiamata a testimoniare il Vangelo qui ed ora, davanti a fratelli bisognosi di aiuto e in situazione di estrema sofferenza. L’arrivo della carovana dei migranti honduregni sta scuotendo il Messico e sta impegnando le strutture ecclesiali: le diocesi, i referenti della Mobilità umana e delle Caritas, ma anche e soprattutto parroci, religiosi e religiose, tanti laici, gente semplice che dona quello che può.

Situazione sanitaria preoccupante. Le stime parlano di 6-7mila persone già in marcia; altre 4mila pronte a entrare; altre ancora già arrivate in Guatemala (ieri altre mille persone sono giunte alla Casa del Migrante di Città del Guatemala). Nuovi arrivi si annunciano anche dall’El Salvador… Insomma, la carovana partita dall’Honduras quasi due settimane fa per raggiungere gli Stati Uniti si è moltiplicata. Un cammino lunghissimo e accidentato, quello che aspetta i migranti in terra messicana. “Ci vorrà un mese e mezzo, forse due per arrivare alla frontiera nord – dice padre Cañaveral –, la situazione sanitaria di queste persone già ora è preoccupante. Ci sono 2.500 minori, donne disabili, tante persone con ferite ai piedi, è un’emergenza umanitaria”.

La marcia procede meno spedita rispetto ai primi giorni. I migranti che sono partiti da Tapachula hanno raggiunto prima Huixtla, e poi i successivi villaggi, la prossima tappa è Mapastepec; ma non sono ancora arrivati a metà del loro cammino nel Chiapas, il primo dei tanti stati messicani che attraverseranno. “Un giorno camminano e uno si riposano, sono costretti a camminare con il sole a quaranta gradi e poi magari, dopo due ore, sotto la pioggia battente”, spiega il responsabile della Mobilità umana di Tapachula.

Le priorità: accogliere e proteggere. «Ogni parrocchia centro d’accoglienza». Sia a livello di base che a livello nazionale, quella della Chiesa messicana è dunque, in questi giorni, un’azione a tutto campo, come spiega al Sir mons. Mondragón.

L’incaricato dei vescovi per la Mobilità umana accenna al dialogo di questi giorni con il Governo federale: «Teniamo aperto il dialogo, da una parte per vedere se è possibile dare un assetto giuridico a queste persone, di regolare la loro presenza».

Si è parlato di un visto umanitario, della durata di sessanta giorni, o di riconoscere il loro stato di rifugiati, che consentirebbe ai migranti anche di tornare a casa e prendere i documenti necessari per ultimare la pratica. Difficile, però, che tali ipotesi si realizzino dentro una situazione così caotica. Ma l’Episcopato ha anche fatto presente alle autorità l’attenzione «a non reprimere e non bloccare gli arrivi». In effetti, prosegue il vescovo, «finora grazie a Dio non ci sono stati scontri significativi e cruenti».

Ma l’attenzione della Chiesa, coordinata operativamente da padre Arturo Montelongo, segretario esecutivo della dimensione Mobilità umana, è soprattutto concentrata su due azioni: «accogliere» e «proteggere».

Spiega ancora mons. Mondragón: «In tutto il territorio si cerca di raccogliere alimenti e generi di prima necessità: cibo acqua, coperte, medicinali, calzature, zainetti. Sono stati predisposti dei ‘kit per la partenza’. Abbiamo naturalmente cercato di potenziare le Case del Migrante e i centri di accoglienza, ma in questo momento c’è la necessità che ogni parrocchia possa trasformarsi in centro d’accoglienza e di raccolta. Non sono mobilitate solo le diocesi interessate dal passaggio della carovana. Per esempio stiamo raccogliendo cibo e alimenti anche nella mia diocesi di Cuautitlán».

C’è, poi, la fase dell’accompagnare e del «proteggere». Parroci, religiose e religiosi, operatori pastorali “stanno in queste ore letteralmente scortando i migranti lungo le strade del Chiapas. «Siamo preoccupati – spiega il vescovo – che il Governo garantisca vigilanza e sicurezza».

Le carovane di migranti, per dirigersi verso gli Usa, dovranno attraversare infatti Stati connotati da criminalità, violenza, sfruttamento. Queste priorità sono state ricordate ieri al convegno nazionale della Pastorale sociale, e ribadite in un comunicato.

«Un segno dei tempi. Dio ci interpella». Monsignor Mondragón sta già pensando anche al momento in cui i migranti arriveranno alla sospirata frontiera degli Stati Uniti, non certo accolti a braccia aperte da Trump: «Vedremo quali rotte verranno seguite. Le principali sono tre, una orientale attraverso lo stato del Tamaulipas, una centrale e una occidentale, verso la California. Poi, per quanto riguarda l’arrivo, contiamo molto sulla costante collaborazione tra i vescovi della frontiera, messicani e statunitensi insieme. Da anni i vescovi si ritrovano, cercano dei canali per parlare con i membri del Congresso Usa… Insomma si crea un importante ambiente di dialogo».

Il vescovo conclude con una riflessione: «Dobbiamo vedere quello che sta accadendo con la prospettiva della fede, questo fenomeno universale è un segno dei tempi. Dio ci interpella. E non dobbiamo dimenticare che Gesù, fin da quando si trovava nel grembo di sua madre, fu un migrante e nacque lontano dalla sua casa. Accogliere il migrante è accogliere Gesù. Inoltre, questa accoglienza in tutto il Paese è un modo per iniziare a vivere il Piano pastorale globale che la nostra Chiesa si è data, sperimentando nelle scelte, in questo momento molto operative, collegialità e sinodalità».

Dal Sir