Paramenti e indumenti di uso liturgico nella Sagrestia maggiore

I preziosi manufatti, che portano a sintesi l’abilità e la perizia dell’artigianato artistico del tessuto e del ricamo maturato fra il XVII ed il XIX secolo, recano di frequente le insegne dei vescovi per cui furono eseguiti: il cardinale Gregorio Naro, che resse la diocesi fra il 1633 ed il 1634, il cardinale Odoardo Vecchiarelli (1660-1667), il vescovo Ippolito Vincentini (1670-1701), Antonino Serafino Camarda (1724-1754), il vescovo Giovanni De Vita (1764-1774), il vescovo Saverio Ermenegildo Marini (1779-1812), il cardinale Gabriele dei conti Ferretti (1827-1833), monsignor Benedetto Capelletti (1833-1834), monsignor Filippo Curoli (1834-1849), monsignor Gaetano Carletti (1849-1867).

A questi preziosi vestimenti, si aggiunge una mitria in seta candida, dono di papa Benedetto XIII, il domenicano Pier Francesco Orsini, al vescovo Camarda suo correligionario.

Fu forse, invece, un moto d’orgoglio aristocratico quello che agli inizi del XIX secolo indusse l’arcidiacono Ferdinando Ricci a dotarsi di tre piviali, due rossi ed uno viola, con l’arme del nobile casato aquilano, radicatosi a Rieti fin dal Seicento.

Frequentemente, questi pregiati corredi sono commissionati o acquistati direttamente presso gli opifici romani.

A volte, invece, sono le comunità religiose reatine a produrre tovaglie d’altare, paliotti e pianete nei loro ben attrezzati laboratori, dove le monache realizzano con paziente perizia raffinati ricami.

Nel chiuso dei chiostri, si lavora il lino, la canapa, la seta, addirittura contravvenendo ai decreti delle autorità ecclesiastiche.

Ma i risultati sono notevoli per eleganza ed originalità dei disegni, armonia dei colori, precisione nell’esecuzione: tale rimarrà il prestigio dei laboratori di ricamo dei monasteri reatini fino ad anni recenti.

I parati eseguiti per i Vescovi presentano la caratteristica comune di scegliere per i parati sete e velluti monocromi, limitando il ricamo in oro e colore alla realizzazione degli stemmi applicati, in cui l’ abilità e l’inventiva si concentra nel breve spazio dello scudo sormontato dalla mitria o dal galero.

La riproduzione delle insegne vescovili, sempre compiuta con singolare perizia, coincide nelle pezze onorevoli, nelle figure ispirate al regno animale, vegetale, minerale, celeste, negli svolazzi, nei colori araldici ( il rosso, il porpora, il verde, l’azzurro, il nero) e nei metalli ( il bianco o argento, il giallo o oro).

I ricami che impreziosiscono i parati del Capitolo della Cattedrale, in seta bianca lavorata in oro appaiono più ricchi e sbrigliati nella composizione, pur sempre rigorosamente ispirata alle norme che regolano la liturgia.

Risalgono al Seicento i parati in seta verde dei vescovi Naro, Vecchiarelli e Vincentini.

Il colore liturgico è quello in uso nel tempo ordinario.

La pianeta del vescovo Gregorio Naro, completa di stola e manipolo, è in cannellato di seta verde bottiglia laminata in oro, profilata intorno allo scollo e lungo la fascia centrale del dorso da un gallone dorato lucido ed opaco a motivi geometrici. In basso, spicca lo stemma del casato del patriziato romano, le tre lune d’argento che spiccano sul fondo azzurro dello scudo, sormontate da tre api dorate minuziosamente ricamate.

Il completo di pianeta, stola e manipolo che presenta lo stemma gentilizio comune a due casate dell’aristocrazia locale, i Vecchiarelli ed i Vincentini, che nel corso del XVII secolo dettero entrambe vescovi alla diocesi reatina, nelle persone del cardinale Odoardo e di monsignor Ippolito, è in seta laminata in argento ed oro a trama damascata.

Il medesimo stemma ricorre nelle bande laterali di un paliotto in seta rossa marezzata e laminata in oro, profilato da una bordura e da una frangia in oro laminato.

Nel corso del XVIII secolo, il lungo episcopato di monsignor Antonino Serafino Camarda (1724-1754) s’inaugura con il prezioso dono ricevuto da papa Benedetto XIII all’atto della consacrazione: una mitria in seta bianca laminata in argento e ricamata in oro, recante nelle infule lo stemma degli Orsini di Gravina sormontato dal triregno e dalle chiavi decussate.

Lo stemma del vescovo domenicano, che unisce all’arme del casato messinese l‘insegna bianca e nera dell’Ordine dei Predicatori su cui spicca la figura del cane con la fiaccola nelle fauci, è ricamato nella serie di quattro tonacelle in cannellato di seta laminato in oro, con raffinati galloni che segnano lo scollo e lo sprone.

Fa memoria del beneventano Giovanni De Vita, una mitria in tessuto di seta laminata in oro.

Il ricamo in seta e colore riporta nelle infule lo stemma del vescovo, il profilo di tre monti sormontati da una colonna su cui s’avvolge una pianta rampicante in fiore.

Assai ricco ed elegante è il corredo di monsignor Marini, che fu alla guida della diocesi reatina nella difficile temperie napoleonica: una mitria in tessuto cannellato di seta laminata in oro, con le insegne della dignità episcopale ricamate in oro e colore nelle infule, una mitria in seta bianca laminata in argento e ricamata in oro, una più appariscente mitria in seta bianca laminata in argento, ricamata a punto raso in oro e colore, con inserzione di paillettes e pietre dure che esaltano il motivo della decorazione floreale, un completo di paramenti liturgici – piviale, pianeta, borsa, stola, manipolo, velo del calice – in seta rossa marezzata laminata in oro, con ricche bordure a fascia, un completo in seta marezzata di colore viola, laminata in oro, con bordura dorata e stemma gentilizio ricamato in oro e colore dimostrano tanto il gusto raffinato del patrizio pesarese quanto il grado di eccellenza raggiunto dalle locali manifatture a cavaliere fra il XVIII ed il XIX secolo.

Agli indumenti liturgici, si aggiunge a far memoria di monsignor Marini un paliotto in seta damascata rosa, con bordure e frange in oro, anche questo ricamato con lo stemma episcopale in oro e colore.

L’abilità delle ricamatrici reatine è confermata dal piviale in tessuto cannellato di seta color avorio laminato in argento, con gallone in oro che porta l’insegna del cardinale Gabriele Ferretti, vescovo di Rieti dal 1827 al 1833, ricamata in oro e colore, dal piviale in tessuto di seta bianca laminata in argento, con un ricco gallone a rilievo ed il ricamo a riporto, in oro e colore, dello stemma vescovile di monsignor Benedetto Capelletti , alla guida della sua diocesi natale nel biennio 1833-1834, dal piviale in seta rossa laminata in oro, dal piviale in seta viola laminata in argento e dal piviale in cannellato di seta bianca laminato in argento, con un prezioso gallone ed un’ampia frangia in filo d’argento con lo stemma del vescovo Filippo Curoli, che resse la diocesi reatina fra il 1834 ed il 1849.

La morte del vescovo Curoli, sopravvenuta il 29 gennaio 1849, coincise con l’arrivo in città delle truppe di Garibaldi e con l’avvento della Repubblica Romana.

L’ultima stagione del potere temporale della Chiesa coincise con la necessità di mettere riparo ai gravi danni inferti al patrimonio architettonico ed artistico del Palazzo papale.

Gli effetti delle leggi eversive postunitarie, la crisi nei rapporti fra Stato e Chiesa sopravvenuta dopo la risoluzione in armi della questione romana interruppero la secolare tradizione che aveva contribuito a dotare la cattedrale basilica di Santa Maria Madre di Dio di ricchi arredi e paramenti finissimi.

I canonici capitolari reagirono alle difficoltà dei tempi moderni intraprendendo un’opera di gelosa custodia delle memorie del passato: al loro zelo si deve la conservazione dei preziosi indumenti liturgici che costituiscono attualmente il nucleo del settore del Museo dei Beni Ecclesiastici della Diocesi di Rieti dedicato alle Arti del tessuto e del ricamo.