Barbari come Barbara, cioè aperti all’Altro

Barbara, cioè straniera. Giocando sul significato del nome, mons Pompili, nell’omelia in occasione della festa della patrona, ha sottolineato il suo essere aliena, irriducibile al mondo che si ritrova ad abitare. Un mondo violento, che non la comprende, ma non per questo la santa si rassegna e si lascia sopraffare dal “sistema”, dal padre che voleva costringerla al matrimonio combinato.

Qui sta una delle chiavi di lettura del suo sacrificio, perché «il martire non è un eroe, ma uno che con il suo istinto sa distinguere il vero dal falso, l’autentico dall’inautentico»: è chi riesce ad essere fino in fondo se stesso, a dispetto del proprio tempo. E questo fa di santa Barbara un punto di riferimento anche per l’oggi: perché è sempre più difficile essere come desideriamo nel più profondo di noi stessi: riuscire a non farsi sopraffare dai miti dominanti, quando invece ciò che conta è l’incontro con gli altri. «Quando ci isoliamo, rischiamo di perdere la nostra vitalità», ha sottolineato mons Pompili, e il pericolo è concreto in un tempo come il nostro, «pieno di risentimento, di tante delusioni, che talora ci possono condurre a rinchiuderci in noi stessi».

Occorre dunque trovare delle feritoie, come santa Barbara, che ha un altra lezione per il presente: in lei tutto appare forte, ma leggero. «Sa andare incontro al suo destino non perché desideri la morte, ma perché sa trasformare la morte in un gesto di amore. Questa è la forma di amore più matura. Oggi, l’amore o è quello “idolatra” di chi fa dell’altro l’ancora di salvezza da cui tutto dipende, o è narcisista, e fa dell’altro uno strumento per se stessi. Entrambe queste derive ci portano lontanissimo dall’amore cristano. Lasciamoci ispirare da Santa Barbara a trovare l’amore che si apre all’altro senza mai usare dell’altro, perché sa rivolgersi a Dio».

«I barbari, nel momento della decadenza dell’impero romano, portarono nella società come una trasfusione di sangue, che la rimise in piedi. Oggi i cristiani sono i nuovi barbari – ha concluso il vescovo – e ce n’è bisogno»