Zona a luci rosse a Roma: «Non possiamo essere conniventi dell’ingiustizia»

Una “scelta fallimentare” perché “nessuna donna nasce prostituta, qualcuno la fa diventare, ovvero i clienti e il racket”. Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, condanna senza mezzi termini la scelta di aprire un “quartiere a luci rosse” a Roma. Peraltro “lo stesso sindaco di Amsterdam, nel 2003, ha dovuto riconoscere che nei quartieri olandesi a luci rosse il racket la fa da padrone”. Come diceva don Oreste Benzi, “ci vuole tolleranza zero, bisogna scoraggiare la domanda e non regolamentarla”. La proposta romana, invece, crea un “danno irreversibile”. Prima di tutto sulle vittime, cioè le donne. “Quelle che accogliamo ogni giorno – spiega Ramonda al Sir – hanno traumi psicologici che dureranno per tutta la vita”. E poi sulla cultura, poiché “ingenera il concetto che la donna è un oggetto e la si può denigrare”. “Perché allora – propone provocatoriamente – non creare una zona virtuale in cui segnalare a tutti le targhe dei clienti? Oppure fare come in Svezia, dove le multe ai clienti vengono recapitate per posta alle famiglie?”. Lo stigma sociale può servire alla prevenzione, mentre la proposta romana è solo “un messaggio negativo forte”. “È una sfida da controbattere – conclude Ramonda – proprio perché siamo a fianco di queste donne. Non possiamo essere conniventi del’ingiustizia”.