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“Zen e funambolismo”, tra enigma e spiritualità

Il 28 giugno è uscito per la casa editrice reatina Funambolo Edizioni Zen e funambolismo di Andrea Loreni: l’autore racconta il rapporto tra la spiritualità Zen e la sua professione di funambolo

Il 28 giugno è uscito per la casa editrice reatina Funambolo Edizioni Zen e funambolismo di Andrea Loreni. In questo saggio, appartenente alla collana Sircus dedicata ad arte di strada e circo contemporaneo e diretta da Paolo Stratta, l’autore racconta il rapporto tra la spiritualità Zen e la sua professione di funambolo. La prefazione è affidata al celebre alpinista Manolo.

Tutto inizia in Giappone «nel punto di origine del silenzio», il tempio Sogen-ji a Okayama. Arrivare lì è già una piccola impresa ma sarà la vita quotidiana a mettere alla prova. Sveglia presto (3:40 del mattino), preghiera, Zazen (restare seduti immobili per ore), lavoro massacrante e pasti leggeri scandisco il periodare dei giorni, dei mesi e degli anni. La «routine, come il cavo, ti libera dai bivi, dagli incroci e dalla scelta che questi ti pongono». Questa è solo una delle tante metafore che nel testo legano la meditazione Zen al funambolismo.

Anche la narrazione è sul filo, del dubbio e della distrazione. Dubbio e distrazione che portano però a episodi in qualche modo simbolici, che diverranno chiari nel proseguo. Nella prima parte Loreni racconta la sua esperienza: più che di descrivere dei fatti mostra una realtà lontanissima vissuta dal di dentro. Nella seconda le riflessioni, forti delle esperienze pregresse, chiariscono e approfondiscono i concetti espressi in precedenza.

Paradossalmente la cosa più difficile è rimanere seduti (a gambe incrociate). La fissità e la difficoltà dell’esatta posizione da assumere rendono questa pratica molto dolorosa. Inoltre chi entra nel tempio accetta di ricevere leggeri ma decisi colpi di bastone in caso d’errore. Per quanto riguarda la durata, ci sono periodi in cui l’attività si intensifica e una volta l’anno (La Rohatsu) si arriva a 14 ore giornaliere intervallate da brevi pause.

Altra cifra dello Zen, ben mostrata nel racconto, è quella dei Koan, le domande enigmatiche o paradossali che richiedono risposte immediate e altrettanto indecifrabili. La raccolta dei vari Sanzen (il rituale in cui il maestro pone gli enigmi) a cui partecipa il funambolo, sembra una sceneggiatura presa dal teatro dell’assurdo portando però ad uno dei concetti fondamentali d’opera.

«Le domande sono una specie di dolore della mente, che in realtà non esiste?» si chiede l’autore già le prime pagine. La spontaneità senza riflessione alcuna richiesta dai Koan è l’apice della vera e propria apologia del “qui e ora” che percorre il testo: «nel qui e ora siamo completamente quello che facciamo e allora siamo autentici, o non lo siamo e quindi abbiamo perso un’occasione di autenticità.»

Ulteriore centro nevralgico del libro è il ruolo della concretezza. La fisicità del lavoro manuale al tempio e della professione di funambolo sono le colonne portanti della riflessione, che aggirano le difficoltà metafisiche riguardo alla concezione occidentale del nulla: «Non c’è nichilismo, il vuoto di senso rimanda al senso del vuoto, nessuna astrazione esistenzialista. Vuoto concreto che solo il funambolo sperimenta.»

E dal vuoto alla paura il passo è breve, soprattutto se si cammina sul cavo d’acciaio a vari metri d’altezza. La paura, che si vedrà è indissolubilmente legata all’arte, non abbandona mai il funambolo, che finisce per accoglierla: «mi abbandono al vuoto; il problema diventa la soluzione, ciò che ci spaventa il supporto». Persino chi raggiungeva l’illuminazione «aveva sì paura, ma aveva anche accolto quella paura con gentilezza».

Tu hai fatto del pericolo il tuo mestiere, in ciò non vi è nulla di spregevole. Così lo Zarathustra di Nietzsche appella il saltimbanco-funambolo appena precipitato. Se al pericolo sostituiamo la paura, avremo la definizione dell’essenza del funambolo (e non solo) che emerge dalla lettura e che potrebbe suonare quasi come un invito: fai dell’accogliere la paura il tuo mestiere, in ciò non vi sarà che grazia e bellezza.