XXIX Domenica del tempo ordinario – Anno A (Mt 22,15-21)

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

(Mt 22,15-21)

È lecito, o no, pagare le tasse?

Personalmente faccio anch’io l’esperienza dell’IMU, della TARSU, dell’IRPEF, della TASI le cui cifre da pagare ogni volta a breve scadenza sono ormai più che raddoppiate rispetto allo scorso decennio, diventano sempre più ingenti ed esautoranti costringendoci tutti a tirare la cinghia e comunque ad arrivare alla fine del mese con l’acqua alla gola. Considerati tutti questi oneri impostici dal governo, si comprende benissimo lo stato in cui versano attualmente tantissime famiglie italiane, per le quali il costo della vita è sempre più elevato, non ci si può permettere il minimo sollazzo o divertimento e si è costretti a volte a rinunciare perfino alle comunissime spese voluttuarie quali caramelle e caffè. In tantissimi nuclei familiari negli scorsi anni si è stati costretti a ricorrere ai servizi di assistenza sociale per i generi di prima necessità, Caritas Parrocchiali e Diocesane. Ci si trova infatti di fronte ad egli oneri tributari sproporzionati e davvero incompatibili con le possibilità di chi dispone di un minimo salario o di una ristrettissima remunerazione; chi ha lavorato alacremente per tantissimi anni non sempre può adesso godere di una pensione proporzionata ai suoi trascorsi di fatica e tirate approssimativamente le somme ogni famiglia si ritrova a corrispondere mediamente una grossa cifra mensile quanto a tasse e oneri tributari e nella maggior parte dei casi questo significa miseria nera e indigenza. E’ comprensibile che si usi riprovazione verso determinati emendamenti che colpiscono soprattutto le classi più deboli, costrette continuamente a mettere mano al portafoglio, mentre altri ceti più elevati trovano sempre il pretesto per non pagare un centesimo al fisco. Ancora più deplorevole è il fatto che mentre si è costretti a lottare per la sopravvivenza, si riscontrano carenze nei servizi urbani e nelle strutture sanitarie, non sempre sono garantiti i servizi all’utenza, in tantissimi casi mancano le strutture più comuni di assistenza sociale, talora si deve ricorrere alle amicizie o alle conoscenze per ottenere quanto ci spetta di diritto dalla Istituzioni e nessuno provvede al fenomeno sempre più crescente della disoccupazione e dell’insicurezza giovanile.

Ci troviamo insomma oggigiorno nelle condizioni di pretendere una politica più giusta ed equa, che non prenda di mira gli ultimi e i poveri del nostro paese e che garantisca a tutti gli stessi diritti inalienabili di convivenza. Come raccomanda la Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II, i pubblici poteri sono tenuti al perseguimento del bene comune., cioè “dell’insieme delle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come anche ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente” e che riguarda il bene tutti gli uomini e non soltanto di una sola categoria sociale. Il bene comune viene dato dal rispetto della persona nei suoi diritti inalienabili, dal benessere sociale e dallo sviluppo che garantiscono a ciascuno di trovare immediatamente ciò di cui ha bisogno, dalla pace e dalla sicurezza civile (CCC), ma fin quando le Istituzioni continueranno a vessare il popolo debole questo sarà sempre più indifeso ed escluso e l’assetto sociale sarà determinato da tensioni e malcontenti, ne sappiamo qualcosa per quanto riguarda la realtà della Sanità Reatina.

Se però da una parte vi sono doveri da parte delle Istituzioni, dall’altra non possiamo negare che vi siano anche obblighi da parte dei cittadini ed è anche reale e consolidato il fatto che determinate situazioni di disagio economico sono scaturite dal levantino atteggiamento di tante persone che non hanno adempiuto ai loro obblighi. Se infatti parecchi cittadini trovano lo stratagemma o il pretesto per eludere il fisco venendo meno ai propri obblighi pecuniari, se da parte di molti ci si sottrae al lavoro inventando falsi pretesti di infortunio o malattia; se non ci si adegua insomma tutti al sistema vigente di tassazione, a dover pagare sono necessariamente i cittadini onesti e puntuali!! A colmare il debito provocato dai furbi, saranno sempre i poveri e gli indigenti. Il danno di tante ingiustizie e di tante manchevolezze molte volte sono costretti a pagarlo i cittadini onesti e in linea generale l’intero paese necessariamente va a rotoli, allorquando si trovano cavilli per sottrarci ai nostri doveri. E’ chiaro allora che, mentre è legittimo rivendicare un sistema più giusto ed equilibrato che favorisca la retta convivenza per tutti, da parte nostra è anche doveroso corrispondere al dovere morale del rispetto dell’autorità legittima. Paolo esorta a riconoscere nell’autorità terrena la presenza stessa di Dio, al quale dovere rispetto e obbedienza nell’esercizio del proprio dovere civico: “Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite, poiché non c’è autorità se non da Dio e quello che esistono sono stabilite da Dio. Quindi, chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse, le tasse; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto” (Rm 13, 1 – 7).

Attraverso il profeta Isaia Dio proclama se stesso come l’unico Signore, di fronte al quale non vi è altra divinità e che non accetta altre autorità concorrenti (I Lettura). La sua signoria è affermata sul mondo e su tutti i popoli accanto all’unicità del suo essere divino e appunto come Signore universale egli si mostra nei confronti dell’uomo. Il che comporta che a Lui si deve obbedienza e rispetto nella persona dei monarchi e dei sovrani terreni, appositamente chiamati ad esercitare un mandato di divina provenienza e del resto chiamati quindi alla promozione della giustizia comune.

Riconoscere Dio nell’autorità terrena pur esigendo che questa assuma connotati di servizio e non di abuso e di predominio, equivale ad esercitare un grande atto di fede che apporta un grande contributo alla trasformazione della nostra società; ammettere la presenza di un Dio che interviene nell’esercizio delle funzioni di un potere terreno equivale a rinnovare la speranza nella giustizia e nell’opportunità per tutti. Non riponiamo la nostra fede in un Dio autoritario e dispotico che si accontenta semplicemente di preponderare sull’uomo e di averne ragione a tutti i costi, ma su un Dio che fonda il concetto di autorità quale servizio e amore nei nostri confronti e che pertanto anche attraverso i regimi terreni provvede al bene sei singoli e dell’intera società umana. Di conseguenza qualsiasi sistema di governo vigente va riconosciuto come scaturito e voluto da Dio stesso, purché si disponga realmente alla promozione dell’equità, del diritto e della giustizia.

Gesù pagava certamente le tasse: in una certa occasione dimostra di provvedere con l’ausilio di Pietro al denaro necessario e si dispone al suo dovere di cittadino alla pari degli altri, anche se sottolinea le ingiustizie dell’erario di Roma che imponeva gabelli e tributi solamente ai popoli sottomessi e non ai suoi sudditi (i figli Mt 17, 25). Gesù paga il dovuto pur non avendone alcun obbligo in quanto Figlio di Dio e in questo stesso atteggiamento si dispone ad una vera pedagogia di giustizia sociale.

“E’ lecito o no dare il tributo a Cesare?” Questa è la domanda che a bruciapelo rivolgono gli rivolgono i suoi avversi interlocutori, nel tentativo di trovare una motivazione per coglierlo in fallo e la domanda ha infatti i suoi precisi trabocchetti. All’epoca dei fatti il mondo ebraico si ostinava a misconoscere l’autorità del regime di Roma allora imperante, dal quale ci si voleva liberare in nome di uno “zelo” nazionalista. La quasi totalità dei Giudei non ammetteva neppure l’esistenza del dominio romano e di conseguenza riteneva indegno e abominevole pagare i tributi all’imperatore (Cesare). Se Gesù avesse quindi risposto a favore di Cesare (Si, è giusto pagare il tributo) si sarebbe procurato le inimicizie dei Giudei; se avesse risposto negativamente (No, non è gusto pagarlo) avrebbe suscitato una grande perplessità come possibile nemico o sobillatore del sistema vigente da Roma. Ma Gesù risponde nella maniera adeguata chiamando in causa la stessa effige dell’imperatore incisa nella moneta: “A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”: l’autorità terrena non contrasta con il potere assoluto di Dio, anche se questo ha la prevalenza sul primo. Uno stato “laico ad oltranza” che misconosce Dio e i valori non è ammissibile; ma uno stato che nella laicità tende a procurare tutti i mezzi necessari per garantire al popolo adeguati mezzi di sussistenza è legittimo e la sua autorevolezza va riconosciuta. Il popolo del resto, con il giusto tributo a Cesare, collabora al bene di tutti.

Cerchiamo di ricordarcelo tutti.