Vince il centro destra: Musumeci. L’analisi di Roberto Dalimonte

Roberto D’Alimonte è ordinario di Sistema politico italiano presso la Luiss e direttore del Centro italiano studi elettorali. Autorità indiscussa nel campo dei sistemi elettorali, il docente mette in evidenza la differenza fondamentale tra il sistema in vigore in Sicilia per le elezioni regionali e quello con cui si andrà a votare per il Parlamento, il cosiddetto Rosatellum

“Sarei molto cauto nell’ipotizzare una proiezione nazionale del voto in Sicilia”. Roberto D’Alimonte, ordinario di Sistema politico italiano presso la Luiss e direttore del Centro italiano studi elettorali, risponde così alla domanda che tutti si fanno in queste ore: le regionali siciliane rappresentano o no un’anticipazione di quanto potrebbe accadere nelle prossime elezioni politiche, all’inizio del 2018? D’Alimonte, un’autorità indiscussa nel campo dei sistemi elettorali, mette in evidenza anche la differenza fondamentale tra il sistema in vigore in Sicilia per le elezioni regionali e quello con cui si andrà a votare per il Parlamento, il cosiddetto Rosatellum. Anzi, precisa, “la differenza riguarda la stessa forma di governo, perché non è prevista l’elezione diretta”. Ed è stata proprio la competizione tra candidati alla presidenza a spingere in altro i risultati del vincitore, Nello Musumeci, candidato del centro-destra, e del secondo arrivato, il candidato del M5S, Giancarlo Cancelleri. Quest’ultimo, in particolare, ha preso molti più voti del partito che lo sosteneva.

Il voto disgiunto. “Il voto disgiunto ha favorito il Movimento 5 Stelle – spiega D’Alimonte – ed è per questo che i partiti tradizionali nel Rosatellum hanno previsto il voto congiunto”. Il voto congiunto, per intendersi, prevede che l’opzione per una lista e i suoi candidati nella parte proporzionale sia coerente con quella per il candidato nel collegio uninominale.

Il voto disgiunto, invece, consente di votare un candidato in un collegio uninominale (o, nel caso siciliano, un candidato alla presidenza) diverso da quello portato dalla lista prescelta.

“Così l’elettore inserito in una rete di relazioni e anche di clientele – spiega ancora il politologo – può sostenere con la preferenza i candidati e la lista di affiliazione e allo stesso tempo può votare il candidato del ‘cuore’”. Insomma, in Sicilia un buon numero di elettori ha votato lista e candidati di riferimento nei partiti storici, ma poi ha scelto come candidato presidente quello proposto dai 5 Stelle.

Gli effetti a livello nazionale. Se bisogna essere prudenti nel proiettare il voto siciliano sullo scenario nazionale, è vero anche però che esso “avrà degli effetti sulle strategie pre-elettorali dei partiti”, osserva D’Alimonte. In particolare, l’esito del voto nell’isola “rafforza la strategia unitaria di Berlusconi, che da quando è sceso in campo è sempre stato il federatore per eccellenza” del centro-destra. Certo è che Musumeci non era inizialmente “il candidato di Berlusconi”, e tuttavia il risultato dimostra che il leader di Forza Italia ha poi compiuto la scelta giusta. Ma alle elezioni politiche “quanti Musumeci riuscirà a reclutare Berlusconi per i collegi uninominali?”, si domanda D’Alimonte, che ha dimostrato con un modello matematico semplicissimo come “solo stravincendo” in questi collegi si possa arrivare alla maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento.

Resta il fatto che il 40% delle elezioni siciliane è un dato veramente notevole e “Berlusconi lo sfrutterà nella propaganda a livello nazionale”.

I risultati del M5S e del Pd. “Molto buono” per D’Alimonte è anche il risultato del M5S. È vero che per mesi è stato il favorito e poi non è riuscito a vincere nonostante avesse investito in Sicilia tutte le sue energie, ma “se ha perso, ha perso bene”. Il politologo sottolinea che il 35% raggiunto dal candidato di un singolo partito, il M5S appunto, è un risultato estremamente rilevante e se nelle altre regioni del sud, che è “il punto di forza del movimento”, dovesse raggiungere livelli analoghi, alle prossime politiche “ne vedremo delle belle nei collegi uninominali”.
E il Pd, che appare come il grande sconfitto della consultazione siciliana? Per D’Alimonte “ha perso male, ma poteva perdere peggio”. Piuttosto, aggiunge, il risultato più deludente è stato quello di Fava: “Mi aspettavo che la sinistra radicale avrebbe fatto meglio”.

Astensionismo. Quanto al problema dell’astensionismo, il politologo della Luiss tende a relativizzare il fenomeno, almeno per quanto riguarda il contesto siciliano.

“Sono decenni che la partecipazione alle elezioni regionali in Sicilia è in calo, ci si poteva attendere un dato molto peggiore e invece l’affluenza è stata tutto sommato buona”,

sostiene D’Alimonte, che azzarda un’ipotesi da approfondire: la causa del mancato crollo potrebbe essere rintracciata nel risultato del M5S, destinatario dei voti di una parte di coloro che si sarebbero potuti astenere.