Con il vicario di zona: dieci preti per cinquemila abitanti

Per andare da Monteleone Sabino a Nespolo ci vuole un’ora e un quarto. Più o meno lo stesso per arrivare a Belmonte o in uno degli altri centri della zona pastorale più estesa, ma anche più spopolata della diocesi. Una condizione che richiede un progetto pastorale su misura, dal taglio missionario, come ci spiega il vicario di zona don Sante Paoletti

«Oggi si riesce a capire un po’ meglio la situazione. Per me è stata un’esperienza nuova e in una zona che non conoscevo». A tracciare un bilancio della sua zona pastorale, a un anno e mezzo dalla decisione del vescovo di rivedere l’assetto della diocesi dal punto di vista amministrativo e pastorale, è don Sante Paoletti, vicario della zona della Valle del Turano e dell’alta Sabina.

L’area è probabilmente la più spopolata della Chiesa reatina: 5000 abitanti su un territorio piuttosto ampio. Quanto ai sacerdoti, dieci in tutto, al fianco degli italiani c’è chi viene dall’Africa e dall’India. «Non è facile incontrarci a causa delle distanze – spiega don Sante – ma ho cercato di fare di tutto per rendermi disponibile e debbo dire che stiamo iniziando ad avere un buon passo».

Nonostante le difficoltà, infatti, la prospettiva della zona pastorale comincia a prendere piede: «Stiamo lavorando per darci un programma e lavorare insieme a un progetto pastorale comune – aggiunge il sacerdote – ad esempio, per la Quaresima abbiamo in programma un ciclo di lectio interparrochiali, sabato 24 febbraio daremo vita a una giornata di spiritualità aperta a tutte le realtà della zona, con un pellegrinaggio a San Gabriele dell’Addolorata, e poi stiamo pensando di riunire le parrocchie per quanto riguarda il catechismo. A Colle di Tora, ad esempio, già vengono i ragazzi di Ascrea». Il prossimo passo sarà l’avvio del consiglio pastorale zonale, mentre già sono previsti momenti formativi per i catechisti, la cui buona volontà va sostenuta con una buona preparazione.

Le iniziative pastorali per rimettere in movimento un territorio sofferente, dunque, non mancano. L’esperienza delle catechesi itineranti ne è un esempio: «Per tanti è stata un’assoluta novità, un’esperienza positiva che ci è stato chiesto con forza di riprendere e lo faremo, anche perché un bel gruppo ha frequentato l’intero ciclo seguendolo in ogni tappa».

A Monteleone, poi, c’è una bella realtà oratoriale: «Sono ragazzi bravissimi e volenterosi», dice don Sante con una punta di orgoglio, ma mista a un po’ di amarezza, perché con gli anni che passano i ragazzi di ieri sono diventati gli universitari di oggi e incontrarsi è meno facile di un tempo. Ma non impossibile: «L’ultima volta è stata in occasione della festa di san Giovanni Bosco, quando abbiamo vissuto insieme l’adorazione eucaristica e la cena».

Piccole gioie che bilanciano le resistenze di un cammino lento verso il rinnovamento. Oggi una pastorale basata solo sulle processioni e sulle messe non sembra più sufficiente, ma al fianco di quelli che si mettono in movimento sul territorio per godere di una vita religiosa più ricca e varia c’è anche chi non ne vuol sapere di spostarsi dalla sua parrocchia, dalla chiesina sotto casa. Un atteggiamento sempre più difficile da sostenere considerato l’esiguo numero degli abitanti in alcune realtà. Una situazione che spinge sempre di più i sacerdoti a puntare su una pastorale d’insieme, di taglio missionario, anche grazie all’aiuto delle suore. «Abbiamo le religiose di Fassinoro e quelle che andranno a riqualificare la casa di Collalto Sabino», ricorda il vicario di zona. «Il lavoro dei sacerdoti sarà sempre di più in movimento ed è probabile che non sempre nei paesi saremo in grado di garantire quelle celebrazioni che oggi sono curate da preti presenti per motivi di studio».

L’attività pastorale, poi, non è certo favorita dal tessuto economico della Valle del Turano, che è tra i più poveri dell’intera diocesi: «A parte qualche negozietto e qualche manovale non c’è nulla o quasi», chiarisce don Sante. L’unica eccezione è quella dei borghi che si trovano a ridosso del bacino artificiale realizzato sbarrando la strada al fiume Turano: «I paesi della Valle in generale vivono soprattutto nei mesi estivi, ma quelli sulla costa del lago sono gli unici che riescono davvero a lavorare un po’ sul turismo».

E anche se il tutto non dura più di dura due o tre mesi, vale la pena di tentare anche una pastorale turistica: «Il lago Turano è comunque molto frequentato e già la scorsa estate abbiamo cercato di assicurare almeno una messa il sabato pomeriggio per i turisti presso la chiesa di Villa Santa Anatolia. Il buon riscontro di singoli e gruppi, tra Scout, escursionisti ed amanti del lago, è stato incoraggiante».