Il vescovo ai medici: «Dio riscatta lo scacco della sofferenza dal suo non senso»

Realismo nei rapporti, cura dei legami e della propria formazione professionale, fiducia in Dio e nella vita: sono le tre possibilità che il vescovo Domenico ha indicato ai medici per coltivare la resilienza

«L’Apostolo è in carcere, verosimilmente a Roma. Si ritrova, dunque, isolato e per niente accudito. Potrebbe lasciarsi andare ad una geremiade, invece pur mostrando la sua sofferenza, non indietreggia rispetto al suo compito». È stato l’epilogo della Lettera di San Paolo a Timoteo a indicare la strada alla Lectio tenuta dal vescovo Domenico nel giorno di San Luca evangelista. Ad ascoltare mons Pompili è stata una platea di medici, raccolti nella cappella dell’Ospedale provinciale di Rieti, ai quali il vescovo ha indicato l’attualità dell’atteggiamento di Paolo: «Oggi si parlerebbe di resilienza. Consiste nel risalire sulla barca dopo che le onde del mare l’hanno capovolta e riprendere con più sicurezza la navigazione». Ma non basta non soccombere: «occorre rafforzarsi, non solo resistere, ma ritrovare uno slancio nuovo e ricevere in dono una sapienza inattesa».

Per farcela occorre «riconoscere il proprio limite», saper ricorrere a «realismo e flessibilità», ma anche la cura che mantiene vive «le radici, i legami, le speranze che nutrono la nostra interiorità e la capacità di fronteggiare le avversità». Così some torna utile «il senso dell’umorismo»: quell’asta che, secondo Gandhi, «dà l’equilibrio ai nostri passi mentre camminiamo sulla fune della nostra vita».

Don Domenico ha ricordato come Paolo si sentisse «tradito dai suoi». L’apostolo «percepisce la mancanza per quello che ha di prezioso e che sente di dover ritrovare», ma intuisce comunque «la presenza di Dio che è il suo aiuto e la sua forza».

Tre condizioni esistenziali che non sono estranee alla professione medica. Nel primo caso il nesso è nella «qualità dei nostri rapporti interpersonali sul lavoro»: forse l’ambiente professionale «non è il massimo del relax e della fiducia», ma è necessario trovare «sintonia sulle cose che contano se vogliamo affrontare la sfida della sanità oggi». Non si chiedono amicizie strategiche, ma «la serena accettazione dei compagni di viaggio, facendo di necessità virtù». L’apostolo Paolo, infatti, «non demonizza né stigmatizza i suoi ex compagni. Ne conosce i limiti, ma ciò non impedisce di ricercarne l’opera».

Il secondo nesso si trova nella richiesta del mantello e dei libri: «poche ed essenziali cose che fanno parte del suo necessario equipaggiamento». Il primo serve a difendersi dal freddo delle umide carceri romane, il secondo indica un «investimento culturale». Come a dire del bisogno di «un minimun per vivere noi e la famiglia, ma senza dimenticare il necessario aggiornamento che solo consente di vivere senza lasciarsi superare dagli eventi. Questa tenuta dei legami e insieme questa apertura e sana curiosità sono strumenti di riesilienza, per fronteggiare le avversità della vita».

Quanto alla presenza di Dio, «è la fiducia di fondo che aiuta a venir fuori anche dalle condizioni più assurde. La fede non è solo un modo di guardare alla vita, ma anche l’antidoto alla rassegnazione e alla fuga. Ecco perché nutrire la propria fede – ha concluso il vescovo – è un aiuto anche alla nostra stabilità umana e alla magnanimità del nostro operare. Senza dire che solo Dio riscatta la condizione del fallimento e lo scacco della sofferenza dal suo non senso».