Il vescovo: «all’Incontro pastorale come Capitani coraggiosi per ricucire il dialogo tra generazioni»

«Nell’annunciare il Vangelo bisogna saper usare l’ago più che la forbice». È con questa bella immagine, semplice ed efficace, che il vescovo Domenico è tornato ad indicare la linea del prossimo Incontro pastorale.

L’occasione, a un mese esatto dall’inizio della tre giorni, che andrà dall’8 al 10 di settembre, l’ha offerta la ricorrenza liturgica di san Domenico di Guzman, celebrata insieme alla riapertura della grande chiesa cittadina a lui dedicata. Proprio il fondatore dell’Ordine del Predicatori, infatti, fu un instancabile “sarto” della società. Affrontò l’eresia dei Catari, che «spacchettavano il mondo in due parti: il bene e il male», rischiando di riprodurre questa separazione pure all’interno della Chiesa, «a viso aperto e con l’eloquenza non tanto della sua parola, ma della sua vita sobria e della sua intelligenza lucida». San Domenico è stato capace di fronteggiare i catari perché ha unito insieme «l’insistenza, senza mai diventare pedante, e la pazienza, senza mai diventare rinunciatario». Un esempio che oggi è più che mai attuale, perché sono molti quelli che «si esercitano nell’arte del taglio, ma noi, come Chiesa, dobbiamo esercitarci nell’arte del cucire, anzi del ricucire».

E un banco di prova di questa nostra capacità di saper cucire la vita, in particolare tra le differenti generazioni, tra giovani e adulti, è proprio il prossimo Incontro pastorale: «a Contigliano, nei tre pomeriggi dall’8 al 10, cercheremo di ricucire questo dialogo tra le generazioni che sembra impossibile».

«Ma – ha avvertito mons Pompili – perché diventi invece possibile, perché non accada che noi adulti continuiamo ad allargare la fascia dell’età giovane, perché non vogliamo diventare vecchi, e i giovani, guardando noi, a non voler mai diventare adulti, è necessario che ci siano dei capitani coraggiosi, cioè delle persone capaci di cucire e non di tagliare con la solita retorica giovanilista». Una revisione dei rapporti, una ricucitura delle generazioni, che richiede innanzitutto «le virtù dell’uomo adulto: l’autonomia, la responsabilità, la libertà». Gli adulti sono cioè chiamati a «quella che i latini chiamavano la “gravitas” che non è la pesantezza, ma quella autorevolezza per cui i giovani, che hanno un sesto senso, sanno intuire chi la racconta soltanto e chi invece sa veramente di cosa sta parlando».

E San Domenico, che fu un “capitano coraggioso” della Parola e della fede, peraltro canonizzato proprio a Rieti nel 1234, può essere un modello da capire e seguire affinché «noi adulti cerchiamo di uscire da noi stessi e di conquistarci con le unghie e con i denti l’equilibrio di una persona matura».