Il vescovo Domenico: dal cuore leggero di san Felice la strategia per sostenere il peso delle difficoltà

Per onorare san Felice, che dal 1986 è patrono principale di Cantalice e patrono secondario dell’intera diocesi reatina, il programma predisposto da parrocchia e confraternita d’intesa con l’amministrazione civica, ha visto, dopo il triduo di preparazione dei giorni 15,16 e 17, la sua giornata clou il 18 maggio, giorno festivo per la comunità cantaliciana.

Si sono svolti il 18 maggio a Cantalice i festeggiamenti in onore del compaesano san Felice. La cittadina natale ha ricordato con partecipazione Felice Porri, che nell’umiltà francescana diede lustro alla famiglia religiosa dei Frati Minori Cappuccini, di cui fu il primo a essere canonizzato, lui che nella Roma del Cinquecento divenne, da semplice frate cercatore, amico dei piccoli e dei poveri e insieme consigliere di papi e di futuri santi.

Un grande momento di devozione culminato con la breve processione nelle vie del paese, conclusa dalla benedizione alla città e all’intera valle reatina impartita con la reliquia del santo. Alle 19 è stato il vescovo Domenico a presiedere la Messa vespertina e nell’omelia, ha voluto trarre dal nome stesso del santo, oltre che dalla sua vita, una precisa indicazione per i fedeli.

«San Felice – ha infatti spiegato mons Pompili – ha testimoniato lo stare al mondo di un uomo sempre lieto». Non solo per un tratto caratteriale, ma «la consapevolezza che pure in mezzo alle difficoltà occorre cercare di gettare il cuore oltre l’ostacolo». Una grande provocazione per il tempo presente, perché «oggi ci facciamo un po’ troppo ispirare da tante Cassandre, che mettono sempre il dito nella piaga, nelle cose che non funzionano, in quelle che dovrebbero essere cambiate: va bene, ma non è che le cose cambiano a forza di rimproveri o di minacce. Le cose cambiano se uno nonostante i problemi riesce a mostrare di avere il fiato più lungo».

Non è che san Felice sia cresciuto in una condizione sociale ed economica più favorevole della nostra, la Roma del ‘50 cominciava a diventare una piccola città. Da 50,000 abitanti arrivava a 110,000. In quel periodo storico era una cosa enorme. Eppure san Felice con il suo dono lieto, perfino concedendosi molto di frequente la possibilità di cantare, sapeva introdurre dentro la vita dei borghi e dei luoghi più infamanti della città, uno spunto di Vangelo e un motivo di incoraggiamento.

«Io – ha aggiunto don Domenico – credo che oggi anche a questo serva la Chiesa: a ridarci la persuasione che sì, siamo in mezzo alla difficoltà, ma dobbiamo avere forte la persuasione che si può andare avanti. Non a base di minacce, ma basandoci su persone che hanno il cuore leggero. Non dobbiamo essere pesanti o appesantiti. Dobbiamo cercare di aiutare le persone a sostenere il peso delle difficoltà».

foto di Massimo Renzi