Veglia di Pentecoste nella chiesa di Santa Barbara in Agro

Sabato 23 maggio nella chiesa di Santa Barbara in Agro in Rieti si è svolta la celebrazione della Veglia di Pentecoste. Il rito, all’interno della Messa con un più ampio ascolto della Parola di Dio e con gli adattamenti proposti dalla Conferenza Episcopale Italiana, è stato presieduto da don Fabrizio Borrello ed orientato al ricordo dei martiri cristiani di oggi, che ancora muoiono per la fede cristiana.

«Che cosa siamo venuti a fare? Questa potrebbe essere la domanda che alberga nel nostro cuore questa sera. Che siamo venuti a celebrare? Che cosa la veglia di Pentecoste porta al nostro cuore e alla nostra vita di fede?» ha domandato il sacerdote.

«A me – ha proseguito – sembra che questa veglia ci abbia preso per mano e ci stia indicando che dobbiamo andare a cercare quel linguaggio unico che abbiamo perduto. Non a caso la prima lettura è l’episodio di Babele, dove Dio confonde le lingue. In realtà non è Dio che confonde le lingue: sono gli uomini che hanno perso l’unità del linguaggio. Vuol dire non avere più qualcosa di comune attorno al quale ritrovarci, avere qualcosa di condiviso attorno al quale poter fare di nuovo “comunione” e poter costruire di nuovo armonia. Vuol dire aver perso quello spirito che ha animato e ancora anima la creazione, ma che in qualche modo abbiamo dimenticato».

Don Fabrizio ha quindi riconosciuto «nel percorso che la liturgia della Parola ci ha fatto fare» proprio «il percorso alla ricerca di questo unico linguaggio, attorno al quale tutti ritrovarci, e che tutti dobbiamo rifare nostro perché tutti quanti possiamo di nuovo parlare una sola lingua».

«È questo il punto» spiega il parroco di Regina Pacis: «noi noi non ci capiamo più. L’uomo non ha più un comune denominatore attorno al quale ritrovarsi. Nemmeno l’idea di uomo è più comune, nemmeno l’idea di uomo è più condivisibile: ormai abbiamo tante idee e tante visioni di uomo che facciamo difficoltà a dialogare: non solo a livello mondiale, ma direi anche a livello italiano, o ancora anche a livello locale, ma anche nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità parrocchiali».

«C’è poco di condiviso, poco di condivisibile – ha aggiunto il sacerdote – perché non siamo più capaci come comunità cristiana di riproporre quel modello unico intorno al quale tutti possiamo ritrovarci e ritrovare l’armonia. Eppure il percorso di questa veglia termina con Gesù che dice di venire a Lui, di andare da Lui, Lui che si propone come il linguaggio comune, il linguaggio in cui tutti tutti possiamo ritrovarci, il linguaggio che tutti possiamo parlare perché è un linguaggio comprensibile e condivisibile da tutti gli uomini e da tutte le culture, in tutte le realtà: perché è il linguaggio dell’amore, il linguaggio di quell’amore che è il filo conduttore vero di tutta la creazione, che dovrebbe essere il filo conduttore della storia, quel filo rosso che sta sempre alla base della vita degli uomini».

«È Gesù che si propone come il modello unico, il linguaggio unico, la realtà unica intorno alla quale tutti quanti possiamo ritrovare l’armonia e la pace della creazione. Quell’armonia rotta dai personalismi dei nostri progenitori e soprattutto rotta da quel personalismo che ancora oggi domina l’esistenza di ognuno di noi» ha sottolineato don Fabrizio.

La veglia di Pentecoste ha quindi un senso nella nostra vita se «come scopo ed effetto noi riproponiamo a noi stessi quell’unico linguaggio che è Gesù Cristo. E l’azione dello Spirito sarà efficace dentro di noi quando noi avremo riconosciuto in Gesù l’unico vero linguaggio, il capovolgimento della torre di Babele, perché saremo tornati a quell’unità che Gesù ha ricostruito con la sua esistenza, con la sua parola, e continua a proporre al mondo».

«Non a caso – ha fatto notare il sacerdote – la dimensione più importante della vita di fede si chiama “Comunione”: con Lui e con i fratelli, perché ritroviamo il Lui l’elemento d’unità che rompe tutte le divisioni e ricompone la creazione nella sua armonia vera, quella che ha sognato e continua a sognare Dio e per la quale Gesù si è fatto uomo».

«Essere aperti al dono dello Spirito – ha concluso don Fabrizio – significa essere aperti questo unico linguaggio che Gesù ha parlato e continua a parlare nella storia, e che affida alla Chiesa perché lo faccia conoscere al mondo intero».