Terremoto, un mese dopo. Don Domenico: «nelle mani delle istituzioni» e nelle «nostre» per ricostruire

«Ce la faremo?» è la domanda che serpeggia nell’animo di tutti i sopravvissuti ad Amatrice, ad un mese dalla tragedia che ha devastato il Centro Italia provocando 297 vittime, molte delle quali proprio nel piccolo centro del reatino. nella Messa, in corso stamattina per ricordare le vittime del terremoto. la risposta del vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, sta nella pagina del Vangelo di Luca: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nella mani degli uomini».

«Sì, anche noi stiamo per essere consegnati nelle mani degli uomini. Più concretamente, nelle mani delle istituzioni che ci hanno assicurato che questi luoghi torneranno a vivere come e meglio di prima. Ma anche nelle mani di chi dovrà tradurre questo impegno senza lasciarsi fuorviare da altri interessi», ha ricordato monsignor Pompili. «E soprattutto nelle nostre mani che non possono restare inerti o nostalgiche, ma debbono ritrovare l’energia e la voglia di ricostruire insieme. Soltanto così il soffio vitale che c’è in ognuno di noi tornerà a far risplendere il sole su questa terra. Ne sono un presagio i nostri ragazzi e i nostri bambini, ancorché intontiti e paurosi. Così come li descrive Gianni Rodari: «Tra le tende dopo il terremoto i bambini giocano a palla avvelenata, al mondo, ai quattro cantoni, a guardie e ladri, la vita rimbalza elastica, non vuole altro che vivere».

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