Suor Rosemary: in Uganda ricuce le vite delle bambine-soldato

Le linguette delle lattine diventano borse di lusso. Così suor Rosemary ha ridato dignità a 2.000 donne “scartate”

Cucire insieme le linguette delle lattine per farne borse luccicanti, e ricucire gli strappi dei cuori, brandelli di esistenze, vite scartate, per far risplendere di nuovo la dignità sul volto di tante donne. È questo il lavoro – anzi la missione – di suor Rosemary Nyirumbe, una piccola religiosa ugandese, che da 15 anni, nella sua terra, offre alle ex bambine-soldato la possibilità di ricominciare. Il velo su questo dramma si è squarciato dopo un anno che suor Rosemary dirigeva la scuola “Santa Monica” a Gulu. “C’era una studentessa molto introversa: sempre in disparte, testa bassa. Un giorno le ho detto: sono così brutta che non vuoi guardarmi?. Lei ha accennato un timido sorriso e mi ha detto: Mi vergogno: sono stata nove anni con i ribelli e ho paura che gli altri scoprano quanto di terribile ho fatto. Attraverso la sua sofferenza, ho aperto gli occhi”.

I ribelli sono i guerriglieri dell’Esercito di Resistenza del Signore (Lra). Venti anni di scorribande e di morte tra Nord Uganda e Sud Sudan, e una scia di 30mila morti, oltre due milioni di profughi, orfani, circa centomila bambini rapiti e usati come soldati, di cui almeno un terzo bambine, impiegate nella guerriglia ma anche come schiave sessuali. E il “dopo”, di cui nessuno si occupa, è anche peggio. Il “dopo” di ragazze-madri che gli uomini disprezzano, che le famiglie non vogliono più, che non possono fare ritorno al proprio villaggio; donne di nessuno, dopo essere state usate e buttate, derubate non solo del loro corpo, ma anche della loro dignità e della fiducia in se stesse e negli altri. A questo ha messo mano suor Rosemary, insieme alle sue consorelle, le Suore del Sacro Cuore di Gesù. Una “seconda chiamata” dice.

Da allora la scuola ha aperto le sue porte a queste ragazze: “Le ho accolte e ho organizzato corsi di cucina e di cucito, per dar loro un futuro”. E oggi molte di loro sono impiegate in strutture ricettive, sono sarte, insegnanti. “Imparare a creare con le loro mani qualcosa di bello e di buono restituisce loro quella fiducia in se stesse che hanno cercato di togliergli”. Per loro Rosemary ha imparato a cucire e con loro ha avviato una produzione di borse fatte con le linguette delle lattine cucite con fili di nylon colorati. Materiale di scarto, ma alcune star di Hollywood che l’hanno acquistata per beneficenza, sono arrivate a pagarla anche cinquemila euro. “Anche queste ragazze sono state scartate, ma adesso sono di nuovo belle e splendenti”. Suor Rosemary non si ferma mai. Ride, ha sempre il sorriso sulle labbra: “La mia forza viene da Dio, Lui si prende cura di me e mi dà le energie, e dalla mia comunità, non faccio niente fuori dalla mia comunità”.

“La fede è meglio praticarla che predicarla” ripete. “Non ho tempo per parlare di Dio. Non c’è una ‘formula’, l’unica ‘formula’ è essere presenti in quelle situazioni, camminare con loro, ascoltarle, accettarle, non giudicarle. Quando si sentono amate, quando vedono una suora vivere con loro senza scappare capiscono che Dio è presente”. Sharon non osava quasi avvicinarsi, anche lei sempre con la testa bassa: “Non posso non mi perdoneresti mai”. E lei: “Perché avresti bisogno del mio perdono? Dio ti ha già perdonato”. Sharon le racconta di quando è stata rapita e costretta a caricarsi la sorellina sulle spalle. Dopo chilometri di cammino, sono arrivati a un fiume, troppo profondo perché Sharon potesse guadarlo portando la sorella. È a quel punto che “mi hanno fatto uccidere mia sorella, e io non riesco a perdonarmi”. E suor Rosemary ancora: “Dio ti ha già perdonata”. Le lacrime di Sharon sono l’inizio di un processo difficile, quello del perdono, è innanzi tutto per se stessi.

La scuola Santa Monica di Gulu è cresciuta, e un’altra è stata aperta a una ventina di chilometri, tante sono le richieste di ragazze, donne, madri. Molto di tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’incontro (nel 2002) con Reggie Whitten, avvocato dell’Oklahoma che qualche mese prima aveva perso un figlio. Un incontro che ha ridato speranza a lui e alla sua famiglia. Dalla sua iniziativa è nata la fondazione Pros for Africa(Professionisti per l’Africa), che ha coinvolto anche persone famose del mondo dello sport e della società americane, tramite la quale suor Rosemary ha ricevuto i fondi necessari alla sua opera. Nel tempo, la storia ha cominciato a circolare. Suor Rosemary ha ricevuto premi e riconoscimenti (è stata “eroe dell’anno” per CNN nel 2007 e tra le cento personalità più influenti al mondo nel 2014 per Time Magazine), ha ricevuto ospiti come Bill e Chelsea Clinton. Ora questa storia è raccontata nel libro “Cucire la speranza”, edito da EMI per l’Italia, e un documentario. Ma lei, suor Rosemary, continua a tenere i piedi per terra: “Non possiamo pensare di salvare l’Africa. Sicuramente non possiamo salvare l’Africa, non possiamo salvare il mondo, ma possiamo salvare una persona, un bambino, proviamo”.