Stabilire un contatto / L’intervista al vescovo eletto di Rieti

A pochi giorni dall’annuncio del vescovo Delio Lucarelli al Clero e ai fedeli reatini riuniti nella chiesa di San Domenico, mons. Pompili rilascia la sua prima intervista a «Frontiera» da Vescovo di Rieti.

Eccellenza, come ha accolto la sua nomina? Che emozioni ha provato? Con quale spirito affronterà questo nuovo percorso?
Ho avuto la percezione di una svolta nella mia vita, perché diventare vescovo significa in qualche modo cambiare contesto di vita, ma anche responsabilità. Per un verso sono stato emozionato nell’essere stato scelto da Papa Francesco per un compito così impegnativo; per altro verso sono stato anche preso da una certa agitazione rispetto al compito formidabile che mi è stato affidato. Mettendo insieme la gioia e il tremore mi pare venga fuori un mix molto interessante: di chi sente che la vita ha avuto un sussulto e riprenderà con nuove prospettive.

Quando sarà ordinato vescovo e quando entrerà nella nostra diocesi?
Io penserei al primo giorno utile di settembre. Naturalmente sto ancora attendendo di incontrare il Collegio dei Consultori, mentre in questi giorni ho incontrato mons. Delio Lucarelli. Comunque il giorno sarà quello in cui contemporaneamente inizio il mio ministero, ma ancor prima vengo ordinato vescovo nella Cattedrale di Rieti.

Ha già pensato al suo motto episcopale?
Un giovane del mio paese di origine mi ha fatto notare che la mia famiglia nel ‘700 aveva uno stemma. Ho cominciato a guardarlo con una certa curiosità e probabilmente ispirerà un po’ la scelta. Ci sono due elementi in particolare: tre stelle e un albero. Mi ha colpito l’aspetto delle tre stelle perché richiamano le tre persone della trinità, ma alludono anche ai desideri e ad uno sguardo verso l’alto. D’altra parte l’albero con le sue radici parla di una dimensione di radicamento nella terra. C’è da fare la sintesi, ma ci sto ancora ragionando.

La nostra diocesi da tempo riflette sul tema delle vocazioni. La sua come è nata?
In maniera “normale”, non c’è stato nulla di appariscente. Sono stato un bambino, un chierichetto che si è lasciato incantare dalla bellezza della liturgia, dello stare insieme a pregare, e da un parroco già anziano, ma che aveva una notevole capacità d’attrazione. Ho deciso sin da ragazzo, in prima media, di entrare in seminario. Lì, durante gli anni, c’è stata una lunga maturazione, in particolare grazie ad un’altra figura che per me è stata importante: quella del padre spirituale, un gesuita che ci ha fatto scoprire il contatto con la Parola. La Parola non è mai un testo congelato,
del passato, ma riesce sempre ad interpretare bene quello che siamo, quello viviamo. È un po’ una radiografia del cuore. Questo mi ha aiutato a leggermi dentro, e quando dopo la maturità classica mi chiedevo cosa fare da grande ho pensato che essere prete fosse un modo per riuscire utile a qualcuno e non disperdere le intuizioni che avevo avuto.

Ha già individuato delle priorità? Può indicarci le prime iniziative che attiverà una volta insediato?
Mah, io credo che dei programmi siamo tutti un po’ stanchi: non sono i programmi che cambiano le persone e le situazioni. Secondo me – e qui Papa Francesco insegna con il suo modo di essere – la gioia del Vangelo è ciò che deve tornare a riscaldare di nuovo i cuori. È ciò che insieme dovremmo imparare a riscoprire. Ma questo non è un programma, è una esperienza. Se c’è una cosa a cui vorrei dare priorità è cercare di entrare in contatto con le persone, stabilire una possibilità di ascolto reciproco e ravvicinato. Come, lo vedremo. Prima di ogni cosa occorre creare le condizioni per stabilire un contatto. Da lì tutto può venire di buono, a partire da ciò che ci accomuna: la comune esperienza del Vangelo, che rimane sempre l’unico riferimento decisivo.

In questa ricerca del contatto pensa che l’esperienza di direttore nazionale delle comunicazioni sociali possa aiutare il nuovo vescovo di Rieti?
Penso che la Chiesa vive di questo: comunicare ciò che le sta a cuore, e cioè la persona di Gesù Cristo. Il contatto è la scintilla che fa nascere la possibilità di questo incontro. L’esperienza di questi ultimi anni mi ha mostrato che la comunicazione della Chiesa – quando non è propaganda, ma espressione del proprio vissuto – mette in contatto con persone lontane, con mondi distanti, e allo stesso tempo rinvigorisce e fa riscoprire alle persone vicine la bellezza dell’essere credente oggi. Come ex direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali vorrei fare in modo che si sviluppino tutti i linguaggi, purché arrivi a tutti la possibilità di ascoltare la parola di Dio.

In questi giorni ho verificato che molti giovani nutrono grandi aspettative rispetto alla sua nomina. Ha un pensiero particolare per loro?
I giovani per una persona adulta come me sono sempre un insieme di curiosità e estraneità. I giovani hanno il fiuto di ciò che sta accadendo di nuovo. Nello stesso tempo sono quelli che più facilmente si espongono anche ai disastri di ciò che è nuovo e non è stato integrato. Quello che mi augurerei è sicuramente di avere un dialogo fitto con tutti, nessuno escluso. Vorrei imparare dai giovani il fiuto per le cose nuove e nello stesso tempo insegnare loro qualcosa sulla base della mia esperienza di adulto.

Tutti sono curiosi di sapere cosa porterà a Rieti il nuovo vescovo, ma don Domenico cosa lascia nella diocesi di Anagni-Alatri? Avrà qualche nostalgia?
Sicuramente lascio tutto un patrimonio di rapporti, di incontri fatti, che mi hanno aiutato a crescere. Ognuno di noi è il portato di ciò che abbiamo condiviso. Quando dico incontri, faccio ovviamente riferimento alla mia famiglia, al mio paese, ma anche ai preti della mia diocesi, al seminario regionale, alle persone con cui ho condiviso un cammino di fede, soprattutto nell’Azione Cattolica di cui sono stato a suo tempo assistente, ma anche più in generale con le persone che ho incontrato. Poi, pensando al periodo romano, direi anche i contatti con il mondo dei giornalisti: certamente c’era un profilo professionale, ma ho anche cercato di andare oltre il ruolo, stabilendo con alcuni un contatto al di là dello stretto rapporto di lavoro.

C’è qualcosa che vuole dire al Popolo della diocesi di Rieti che non ha detto nel suo primo messaggio?
Dal 5 maggio, che è il giorno nel quale senza preavviso sono stato chiamato dal Nunzio e mi ha riferito l’intenzione del Papa di destinarmi come nuovo vescovo a Rieti, Rieti è stato un po’ il chiodo fisso dei miei pensieri. L’augurio è che passino presto i mesi che mancano, così che ci si veda, ci si conosca e si cominci a stare insieme!

2 thoughts on “Stabilire un contatto / L’intervista al vescovo eletto di Rieti”

  1. Anna Spinola

    E’ una bisnonna che parla e non posso che esprimere tanta gioia per questo nuovo arrivo nella sede di Rieti. E’ necessario che ci siano energie fresche per portare l’antico messaggio dovunque, a tutti. Bella l’immagine dello stemma con le tre stelle e l’albero: radicamento terreno e tutta una tensione verso l’alto

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