Silence, i segni e il vuoto della fede

Il 12 gennaio scorso è uscito nelle sale italiane Silence, del regista Martin Scorsese, ispirato all’omonimo romanzo storico di Shūsaku Endō. La storia delle persecuzioni dei cristiani nel Giappone del XVII secolo è uno scenario suggestivo per affrontare alcuni aspetti fondamentali della fede.

Il racconto vede due giovani gesuiti portoghesi partire alla volta del Giappone per cercare il loro mentore. Lì vedranno le tremende torture subite dai ‘kiristan’, come i giapponesi chiamano i cristiani. Allo stesso tempo vengono sorpresi e incoraggiati dalla fortissima devozione dimostrata dai convertiti al cristianesimo costretti a nascondersi.

L’inquisitore chiede ai presunti cristiani di calpestare un’immagine sacra. Non pochi rifiutano, consapevoli che la scelta costerà loro la vita. Gli oggetti hanno infatti un grande valore tra la popolazione convertita, tanto che i gesuiti sono costretti a liberarsi persino del rosario per accontentarli. Il rapporto con i segni materiali della fede (croci, dipinti, rituali) è centrale in tutta la pellicola, oscillando tra il rischio di cadere nell’idolatria e il riconoscimento di autentici appigli di speranza nelle estreme difficoltà.

Il mondo rappresentato è molto lontano nel tempo e nello spazio. Eppure l’intolleranza estrema del potere e l’incomunicabilità tra fedi (buddismo e cristianesimo) ci restituisce una prospettiva nuova su temi importanti anche nella realtà contemporanea.

Poi naturalmente c’è il silenzio. Celi plumbei e nebbia fitta contribuiscono a rendere ancora più vivido, quasi a visualizzare, il silenzio insopportabile della paura e della disperazione che provano i perseguitati. Ancora più straziane è il silenzio di Dio vissuto dai gesuiti, un vuoto in cui rimbombano continuamente le grida dei torturati. Questo è il cuore del film, un simbolo che interroga soprattutto lo spettatore, mai completamente rassicurato e al tempo stesso mai abbandonato del tutto. Silence scuote in profondità chi lo guarda, sempre però con la giusta dose di eleganza e senza scivolare in facili moralismi.