Settimana sociale: tappa di un percorso per “rimettere il lavoro al centro”

Rese note le “Linee di preparazione per la 48ª Settimana sociale dei cattolici italiani” (Cagliari, 26-29 ottobre 2017). Non vuole essere “un convegno come tanti”, ma “tappa di un percorso, già cominciato nei mesi precedenti e destinato a continuare”. L’impegno di proporre “all’intera società italiana una direzione di marcia per contribuire a trovare una strada” che porti fuori “dalla crisi in cui versa da troppi anni”

Vicinanza “a quanti soffrono per aver perso il lavoro o perché non riescono a trovarlo”, unita alla volontà di “cercare soluzioni e avanzare proposte”. Con quest’intento la Chiesa italiana cammina verso la 48ª Settimana sociale, che sarà ospitata a Cagliari dal 26 al 29 ottobre prossimi. A esprimerlo sono le “Linee di preparazione” in vista dell’appuntamento ecclesiale, a firma del presidente del Comitato scientifico e organizzatore, l’arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, rese note oggi, 23 marzo, al termine della sessione primaverile del Consiglio permanente della Cei che le ha approvate.

“Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale” è il tema di questa 48ª edizione, che non vuole essere “un convegno come tanti”, ma “tappa di un percorso, già cominciato nei mesi precedenti e destinato a continuare”. Una scelta – esplicita il documento – che si colloca “in coerenza con lo spirito delle Settimane e con il ruolo di servizio al Paese che esse possono giocare nella contemporaneità”, e che risponde all’esigenza di “rimettere il lavoro al centro delle nostre preoccupazioni quotidiane a motivo dell’ineliminabile dimensione sociale dell’evangelizzazione”.

Il testo mette in evidenza “alcune criticità della situazione italiana”, a partire dal “gravissimo problema della disoccupazione giovanile” – che coinvolge 3 milioni di giovani, “poco meno del 40% del totale”, mentre 1,5 milioni sono i “neet”, giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non si formano e non lavorano – cui si aggiunge il “secondo lato oscuro della condizione giovanile” costituito dal “lavoro precario, prestato irregolarmente”, “non protetto, non sicuro e non retribuito”. A tal riguardo, “una gravità particolare riveste la situazione del Mezzogiorno”. Altro fronte è “la preoccupante estensione dell’area della povertà associata alla forte crisi occupazionale”, con il raddoppio in pochi anni di quanti vivono in povertà assoluta, “emergenza nazionale che non può più essere trascurata”. Terza “dimensione problematica” è quella “connessa al lavoro femminile e alle sue implicazioni sulla vita familiare”, con una disoccupazione più alta della media, salari “sensibilmente più bassi” rispetto a quelli degli uomini con le medesime mansioni e un numero di figli pro capite “tra i più bassi in Europa”. Infine, la “distanza tra il sistema scolastico e il mondo del lavoro”, con un Paese intrappolato “in uno schematismo che, separando rigidamente il momento formativo da quello lavorativo, comporta un divario tra la domanda di competenze delle imprese e i profili in uscita da scuole e università”.

Ancora, una “particolare attenzione” va alla rivoluzione tecnologica.

“Anche al tempo dell’Industria 4.0 è compito della cultura e delle forze sociali trovare forme di tutela efficaci per il ‘lavoro degno’”, sottolinea il Comitato.

E se, da una parte, “l’innovazione tecnologica può aiutare a risolvere o mitigare i conflitti tra lavoro e ambiente nella cura della casa comune”, dall’altra parte “per gestire queste nuove forme di lavoro sarà necessario, per il lavoratore, avere un equilibrio umano e spirituale solido”, dal momento che far coincidere nello stesso luogo il “lavoro, gli equilibri relazionali, affettivi e familiari potrebbe essere un fattore di crisi”, come pure “una disordinata gestione del tempo potrebbe appiattire sul lavoro anche quei momenti di riposo mentale, di gratuità e di lucidità di cui la vita ha bisogno”.

Insomma, non tutti i lavori sono “umani, né sono degni. Lo sono solo quando il lavoro è vocazione e rispetta la dignità della persona che non può essere usata come cosa o come merce”.

E la Settimana sociale, per rispettare la consegna della concretezza, “non vuole parlare di numeri, ma di persone, di vite concrete, di speranze e delusioni, di dignità e solidarietà”, proponendo “all’intera società italiana una direzione di marcia per contribuire a trovare una strada” che porti fuori “dalla crisi in cui versa da troppi anni”, secondo quei quattro “registri comunicativi” già presentati nella “Lettera d’invito” alla Settimana sociale: denuncia, ascolto e narrazione, buone pratiche, proposta.

“L’appuntamento di Cagliari vuole diventare l’occasione per raccogliere e portare a frutto quanto le diverse comunità saranno state capaci di elaborare e proporre”, ribadisce il testo, chiedendo che i delegati designati dalle singole diocesi – 3 o 5 in base all’ampiezza di ciascuna (500.000 abitanti è la discriminante) – siano “dei veri e propri attivatori territoriali, agenti motivati e preparati, dediti – con passione e intelligenza – a una missione che non finisce”. L’obiettivo è “creare una rete di persone competenti e consapevoli, capaci di essere lievito delle nostre comunità rispetto al tema del lavoro. Prima, ma soprattutto dopo, l’appuntamento di Cagliari”. A conferma che la prossima Settimana sociale non vuole essere un convegno, ma tappa di un percorso, momento di sintesi e di rilancio dell’impegno sociale della Chiesa italiana.