A sei mesi dal sisma: nostalgia di casa e servizio. La presenza delle Ancelle del Signore

Due Ancelle del Signore scampate al terremoto affiancano don Savino D’Amelio nella gestione del Centro di Comunità Sant’Agostino, condividendo con i compaesani di Amatrice le speranze della ricostruzione

«Bisognava fare più in fretta. Completare i centri abitativi è urgente. La gente vuole ritornare. Non vede l’ora che gli diano la casetta per ritornare». A quasi sei mesi dal terremoto che ha sconvolto il centro Italia, suor Maria è tornata a stare ad Amatrice. Il sisma le ha portato via tre consorelle e il convento. Oggi abita insieme a suor Giuseppina, anche lei scampata miracolosamente ai crolli, in un modulo abitativo: quello realizzato dalla Caritas di lato al Centro di Comunità Sant’Agostino.

«Io sono arrivata nella comunità di Amatrice il 5 settembre 1965», ci dice sorridendo suor Maria, e ci confessa che dietro la vocazione c’è una bocciatura a scuola: «In seconda media: mamma mi disse che se non mi piaceva studiare dovevo lavorare. Mia cugina propose alle suore del mio paese, in provincia di Potenza, di farmi fare qualcosa. E io dopo un anno ho sentito la vocazione e non me ne sono più andata».

E anche se portano ancora addosso i segni del disastro, queste Ancelle del Signore sono presenze preziose, perché insieme ai sacerdoti conoscono la gente e in qualche modo fanno da punto di riferimento, animando la comunità e aiutando l’attività quotidiana della Caritas. Un esercizio di cura che è insieme presenza vigile e attesa del miglioramento: «L’altro giorno è tornata una signora con il figlio: voleva vedere se riusciva a recuperare qualcosa da casa. Dopo il terremoto è stata a Roma da una figlia, poi a Ascoli, ma è un disagio. Avere una casa propria, pure se prefabbricata, per un anziano è importante. Vuol dire disporre di una certa autonomia, di proprie abitudini».

Suor Maria e suor Giuseppina, pure se al riparo nel modulo prefabbricato, soffrono la stessa nostalgia di casa: «Il nostro convento era proprio bello. Negli ultimi tempi il Comune aveva illuminato gli archi: era la prima cosa che si vedeva salendo ad Amatrice. E quante belle giornate abbiamo passato. Un mese prima del terremoto, all’inizio di luglio, avevamo ospitato il camposcuola guidato da don Lorenzo Blasetti. Il terremoto ad Amatrice c’è da sempre, ma non avremmo mai pensato potesse arrivare a questo».

Oggi quella casa non c’è più: è rovinata a terra trascinando con sé le vite di suor Cecilia, suor Anna e suor Agata, sepolte sotto le macerie delle mura sbriciolate, insieme a quattro ospiti. Suor Maria e suor Giuseppina sono state estratte vive e oggi aspettano la ricostruzione, quasi come in un debito di gratitudine, da vivere con le finestre rivolte al complesso dell’Opera per il Mezzogiorno d’Italia, un luogo simbolo per il paese, dove padre Minozzi – nativo di Preta, una delle piccole frazioni di Amatrice – raccolse il testamento di tanti genitori morti al fronte durante la prima guerra mondiale: dare un futuro ai bambini rimasti orfani a causa del conflitto. In modo tanto drammatico quanto inaspettato sembra che il terremoto abbia ricondotto le suore verso i tratti originari della vocazione di don Giovanni Minozzi: anche oggi sono circondate da ragazzi e ragazzini, e gli orfani non mancano.