La scuola cambia ancora: «Ecco la rivoluzione che io prof vorrei»

Innanzitutto il criterio di valutazione del docente, in base, ad esempio alla sua preparazione, che può essere testimoniata non solo da frequenze di corsi o da ore di permanenza nell’edificio scolastico, ma da pubblicazioni, partecipazioni a convegni come relatore e da riconoscimenti vari. Ma soprattutto il riconoscimento della centralità del ruolo del docente, messa in questi decenni a dura prova.

Dunque ci siamo: venerdì dovremmo conoscere (anticipazioni giornalistiche a parte) il destino della scuola italiana. Renzi metterà le carte sul tavolo da gioco del Consiglio dei Ministri per farle vedere a tutti, soprattutto i docenti. Perché il centro nevralgico di tutto sono proprio loro. Intanto la loro delicata funzione è svilita da una retribuzione tra le più basse d’Europa. Questo porta un ulteriore elemento critico ad una problematica di per sé piuttosto complicata dalla presenza di un rilevante numero di docenti precari delle graduatorie ad esaurimento e un ancor più congruo numero di supplenti delle graduatorie d’istituto. Se si considera l’altro impiccio dello sblocco degli scatti di anzianità, il problema si presenta di difficile soluzione. I docenti sono – o erano, vedremo le novità del piano Renzi – legati ad una carriera priva di progressi e di passaggi, se non quelli da docente a preside, a parte gli incarichi di collaborazione o le funzioni strumentali che si rinnovano anno per anno.

Ma quali sono le aspettative del mondo docente? Una delle più sentite è il criterio di valutazione del docente, in base, ad esempio alla sua preparazione, che può essere testimoniata non solo da frequenze di corsi o da ore di permanenza nell’edificio scolastico, ma da pubblicazioni, partecipazioni a convegni come relatore e da riconoscimenti vari.

Perché il rischio avvertito da molti insegnanti è quello di una valutazione puramente quantitativa senza tener conto della peculiare dimensione della istituzione scuola, fatta di rapporti vivi, di bisogni non solo materiali, difficili da rendere numeri.

Vi è poi un altro aspetto di cui si parla con insistenza, quello dell’aggiornamento dei docenti, che in qualche modo investe le precedenti considerazioni: siamo sicuri che la frequenza di qualche corso faccia diventare migliori? E quali reali competenze avranno i formatori? L’aggiornamento può far parte delle responsabilità dell’insegnante che sceglie di approfondire i contenuti disciplinari piuttosto che le normative, l’aspetto psicologico invece di quello storico, mettendo a disposizione della scuola i risultati del proprio lavoro.

Un’ulteriore aspettativa riguarda la fine dell’appiattimento (in alcuni Paesi si sta tornando a forme più tradizionali) sulla forma test, quando non quiz; il Ministero dovrebbe avversare forme di valutazione che non fanno altro che assecondare – e non contrastare come dovrebbero – il processo di impoverimento espressivo (e psichico) in atto.

Vi è poi la questione che riguarda la centralità del ruolo del docente nel contesto scolastico: il proliferare di normative riguardanti il disagio scolastico (ad esempio i Bes, Bisogni Educativi Speciali, della direttiva ministeriale del 2012), la maggiore importanza data alle aspettative genitoriali, come se la scuola fosse un prodotto da confezionare su misura per gratificare le famiglie e non per formare, ha creato una enorme confusione. Oltretutto, in ogni situazione familiare si annidano infinite problematiche, soprattutto in età pre-adolescenziale e adolescenziale, e non si può chiedere ad un docente di classi di oltre trenta studenti di riuscire a tenere conto di tutto e del contrario di tutto. Per non parlare della “vexata quaestio” dei compiti da correggere, delle lezioni da preparare, delle tesine da controllare ed altre tipologie di lavoro non riconosciuto come meriterebbe.

I docenti si aspettano che venga riconosciuta loro una centralità che l’apertura della scuola agli altri elementi della società ha messo a dura prova, poiché non ha fatto altro che subordinare il ruolo docente alle aspettative delle famiglie, con l’imbarazzante messa sotto processo di qualsiasi “impopolare” decisione dell’insegnante, stretto tra ricorsi e nuove normative che moltiplicano e rendono difficile – quando non impossibile – un lavoro che deve invece avere una sua autonomia di giudizio e di metodo. Gli studenti sembrano arrivare a scuola ben più consapevoli dei loro diritti che dei loro doveri, grazie ad un processo di liberazione da alcuni condizionamenti giudicati obsoleti.

Una buona parte degli insegnanti si attende il ritorno alla centralità della figura docente, e ad una dimensione – anche economica – più consona a quel ruolo e ai livelli Ocse.