Uno scultore per San Balduino

La millenaria storia del territorio reatino e sabino è determinata dall’abbondante presenza delle acque, che ne modellano il profilo e ne condizionano lo sviluppo.

È dunque una storia in cui si alternano strategie di adattamento, di contenimento e di controllo fin dai tempi remoti in cui il lacus Velinus raccoglieva le acque degli affluenti maggiori ed i mille rivoli che ingrossavano i torrenti dei Gurgures alti montes impegnando le popolazioni rurali in una dura lotta tesa a strappare terra coltivabile alle sponde del vasto specchio d’acqua, da cui emergevano come isolotti i vertici delle più alte colline, i cui nomi conservano traccia eloquente dell’antico assetto orografico ed idrografico.

Il prosciugamento dell’area intrapreso nel 290 a.C. mediante il taglio della cava curiana dette risultati duraturi fin quando il potere di Roma garantì un efficace controllo del territorio. La crisi altomedievale condannò ad un progressivo impaludamento le terre della conca reatina. L’intervento sistematico dei Cistercensi, fondatori delle abbazie di San Matteo e di San Pastore, garantì la ripresa fin dal XII secolo, benché il lago avesse ancora un’estensione assai ampia, come confermano le numerose fonti documentarie che enumerano i traghetti comunemente utilizzati per un rapido attraversamento dell’area. Più tardi, fu cura della Camera Apostolica inviare a Rieti per riprendere ed intensificare i lavori di bonifica i più accreditati architetti ed ingegneri del XVI secolo, come Antonio Sangallo e Giovanni Fontana.

Allo stato attuale, restano gli specchi cristallini delle lame e dei laghi residui, il Lago Lungo, il lago di Ventina, il lago di Ripasottile, così come resta notevole, nell’area della conca reatina, la persistenza di idronimi a volte associati a prediali o ad indicatori di proprietà e pertinenza, a volte invece legati a caratteristiche geologiche e ad emergenze ambientali. Altrettanto frequente è il riferimento all’utilizzo della fonte o del flusso d’acqua per la coltivazione dei campi, per l’attività molitoria o più semplicemente per la presenza di approdi pubblici o privati.

Si registrano così a mo’ d’ esempio le località Acqua di Peppe, Acqua dei Monaci, Fonte Cicarelli, Fonte di Giovannone, Fonte Nicola, Ponte Crispolti, Fonte del Cavaliere, Pozzo di Luca, Porto Mattia, a cui possono aggiungersi gli agionimi Fonte di Santa Caterina, Ripa di Sant’Agata e Porto San Giuseppe, Acqua del Faggio, Acqua del Poggio, Acquapendente, Capo a Canale, Cisterna, Colle del Pozzo, Capo le Chiuse, Condotto, Costa della Fonte, Costa di Fiume, Fonte Carciofolo, Fonte del Trifoglio, Fonte della Fica, Fossa delle Vigne, Fosso della Lama, Ponte Ranaro, Ponte Schiumarello, Rio Capraro, Valle del Molino, Valle Fontanile, Condotto, Molavecchia, Mola Fratta, insieme con numerosi altri toponimi di analoga formazione.

Un viaggiatore del Settecento, l’erudito sacerdote toscano Gian Girolamo Carli, nel suo resoconto del viaggio compiuto dal 5 agosto al 14 settembre 1765 attraverso l’ Umbria, l’Abruzzo e le Marche, descrive con accenti di stupore che preludono singolarmente al gusto preromantico la meraviglia della cascata, in cui si fondono con straordinaria efficacia la forza della natura e la sagacia dell’uomo: «Alle Marmore il Fiume Velino, che viene da Rieti per una pianura con pochissimo declivio tutto all’improviso fa una cascata per l’altezza di più di 120. cubiti, cadendo p(er)pendicolarmente in certi scogli della sottoposta valle, da q(ua)li ricadendo in altri e poi in altri, finalm(en)te si unisce al fiume Nera. L’acqua caduta sprizza in alto, e in gran distanza, e in più luoghi forma bellissime Iridi; il gran impeto di essa acqua, la gran mole di un intiero Fiume come sospeso in aria, i rigurgitam(en)ti, e gli scherzi varj nelle molteplici cadute, il tortuoso corso della Nera, e le pendici d’intorno cop(er)te di bella verdura fanno una vista veramente mirabile. Il terreno circonvicino è tutto tartaro spugnoso, già formato dall’acqua. La Nera ha un colore biancastro, onde propriamente da Virgilio fu chiamato Sulphurea Nar albus aqua1. Si potrebbe quasi sospettare che quel luogo descritto dallo stesso Virgilio nel VII dell’Eneide in questi versi Est locus Italiae in medio2 etc non fosse già fra gl’Irpini (che da occidente confinano colla Campania, da Oriente colla Puglia) i q(ua)li malam(en)te si possono dire in mezzo dell’Italia; ma fosse questa Cascata delle Marmore, che è vicino a Rieti, la quale da più Geografi si asserisce essere l’ombelico dell’Italia; ma quell’Amsamcti valles, e pestiferas fauces si oppongono a questa spiegazione, che piacerebbe al Sig.r Avv.o Orlandi. Fui assicurato, che pochi anni sono alcuni Sigg. Inglesi p(er) otto giorni continui si portassero ad osservare da diversi siti la d(ett)a Cascata, e ne facessero i disegni in carta. Al mi(glio) 11° dopo Papigno si passa il Velino in Barca. A sinistra della strada si vedono sempre in distanza grandi file di alti monti per lo più spolti».

Stando alla testimonianza del canonico Pompeo Angelotti, autore della Descrittione della città di Rieti, nel XVII secolo la cattedrale conservava «il preziosissimo tesoro del Corpo di S. Barbara Vergine e Martire, antica protettrice di Rieti (…) con li corpi di S. Giuliana Vergin’e Martire Sorella sua di latte, e di S. Probo, antico Vescovo di Rieti, con una parte del Corpo di S. Dionigi padre di S. Pancratio Martire, parte del Corpo di S. Cornelio, & un braccio di S. Vittorino fratello di S. Severino Martire: Essendovi per prima riposte le reliquie de’ Santi Hermete, Giacinto, e Massimo Martiri (…); Non lascerò d’annoverar’ alcune altre reliquie delle molte ch’a vista di tutti ne’ Reliquiari d’Argento si conservano: tra le quali è un braccio di S. Andrea Apostolo che con perpetuo miracolo fa gomma; la testa di S. Balduino Reatino, Abbate del Monasterio di S. Pastore, il cui Corpo nella medesima Chiesa si conserva: un Cappuccio di S. Francesco d’Assisi: e parte de’ Corpi di S. Eleutherio, & Antia Martiri».

Nel 1140, il cistercense Balduino dei conti dei Marsi aveva fondato ai margini della piana reatina paludosa e malsana l’abbazia di San Matteo de Monticulo, filiazione della comunità abruzzese di Casa Nova. La comunità prosperò, ottenendo dal Comune nel 1205 la proprietà dei terreni prospicienti all’abbazia «pro peccatis populi reatini». L’atto fu ratificato qualche anno più tardi dal podestà Matteo di Sinibaldo di Donone ed accolto da papa Innocenzo III. Le condizioni ambientali del sito indussero però i Cistercensi a trasferirsi in una località più salubre.  Nel 1255 l’abate Andrea intraprese dunque la costruzione dell’abbazia di San Pastore in Quinto, completata nel 1264.  L’abbazia di San Matteo di Monticchio, in cui erano state sepolte le spoglie del fondatore, fu dunque abbandonata.

Sul finire del XV secolo, il cardinale Giovanni Colonna, vescovo di Rieti dal 1477 al 1508, fece ricercare le spoglie di San Balduino per assicurare ad esse un’onorata custodia. L’abbazia appariva ormai «inter aquosissimas paludes…apertam, discopertam, ruinosam, et non ecclesiam sed ut domum porcorum», secondo la desolata espressione del notaio Antonio de Mando Pucciaritti, estensore dell’ Instrumentum ad honorem Omnipotentis Dei et Sancti Balduini trasportati.

Recuperate le sacre spoglie, il vescovo provvide a dare ad esse sepoltura presso la cappella della Madonna del Rosario, dove Antoniazzo Romano affrescò la parete oltre l’altare raffigurando la Vergine in trono con il Bambino, su un limpido paesaggio lacustre, tra Santa Barbara e Santo Stefano, Santa Maria Maddalena e San Balduino.

In quello stesso anno 1494, il Capitolo della cattedrale conferì all’orafo Bernardino da Foligno l’incarico di realizzare il busto-reliquiario in argento, argento indorato e niellato, lavorato a sbalzo e cesello oggi conservato presso la sala delle oreficerie del Museo Diocesano.