La sclerosi multipla: Nuove scoperte sui batteri e sistema immunitario

Le componenti del microbiota umano possono effettivamente contribuire all’insorgenza della sclerosi multipla.

Che il nostro intestino sia l’abituale dimora di miliardi di batteri, virus e lieviti è cosa arcinota. L’insieme di questi microrganismi forma il cosiddetto “microbiota” che, vivendo in simbiosi col nostro organismo, contribuisce in modo determinante ai nostri processi digestivi, soprattutto per alcuni alimenti. Questo modello di “collaborazione” organismica fra noi e il nostro microbiota è stato il più accreditato fra gli studiosi, almeno fino a qualche anno fa. Più di recente, infatti, si è potuto scoprire che, in realtà, la presenza di questi numerosi microrganismi nel nostro intestino riveste un ruolo molto più complesso e differenziato, che finisce per incidere su molti aspetti della salute psicofisica umana. Purtroppo, talvolta, con importanti effetti negativi.

È quello che risulta da una recente ricerca (pubblicata sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”), condotta da un team di studiosi dell’Università della California di San Francisco (Usa), coordinati dall’italiano Sergio Baranzini. Dallo studio, infatti, è emersa un’evidente correlazione tra l’azione dei batteri dell’intestino sul sistema immunitario e lo sviluppo di alcune malattie neurodegenerative, come la sclerosi multipla (negli esseri umani) e l’encefalite autoimmune sperimentale (un analogo della sclerosi multipla che colpisce i topi).

Per giungere a questi risultati, Baranzini e i suoi colleghi hanno analizzato il microbiota di 71 pazienti affetti da sclerosi multipla e di 71 soggetti sani (che hanno svolto la funzione di gruppo di controllo), con un’età compresa tra i 19 e i 71 anni, riscontrando tra i due gruppi significative differenze nella composizione del microbiota stesso. Più in dettaglio, è stata riscontrata una quantità molto più abbondante di batteri del genere Acinetobacter e Akkermansia nei pazienti con sclerosi multipla, rispetto ai soggetti del gruppo di controllo; al tempo stesso, si è osservata nei pazienti malati una diminuzione di microrganismi del genere Parabacteroides.

I ricercatori hanno inoltre voluto mettere a contatto alcuni tipi cellulari del sangue con estratti di batteri Acinetobacter e Akkermansia, rilevando come nei linfociti T-helper proinfiammatori (un’importante tipo di cellule del sistema immunitario) aumentasse il processo di differenziazione, che prelude alla loro attivazione contro un “invasore” dell’organismo. Al tempo stesso, gli estratti di Acinetobacter inibivano la differenziazione di linfociti T regolatori (un’altra categoria di cellule infiammatorie), mentre gli estratti di Parabacteroides stimolavano la differenziazione di linfociti T regolatori. Le medesime differenze nel differenziamento dei linfociti T sono poi state osservate in alcuni topi privati del microbiota, ma colonizzati con batteri di un singolo tipo.

A parere del team di studiosi, i risultati ottenuti aprono la strada a possibili terapie per le malattie autoimmuni che abbiano origine – almeno in parte – dal microbiota.

Un secondo studio correlato, condotto da Gurumoorthy Krishnamoorthy, del Max-Planck-Institut per la biochimica di Martinsried (Germania), insieme ai suoi colleghi, ha preso in esame 34 coppie di gemelli identici, di età tra i 21e i 63 anni, in cui soltanto uno dei due era affetto da sclerosi multipla. Trapiantando il microbiota derivato dai gemelli in topi suscettibili alla encefalite autoimmune sperimentale, si è verificato che quelli che avevano ricevuto il microbiota dei malati di sclerosi multipla manifestavano con maggiore frequenza segni della malattia rispetto agli altri. Un’ulteriore conferma che le componenti del microbiota umano possono effettivamente contribuire all’insorgenza della sclerosi multipla.