San Francesco e gli animali, il vescovo: «Sono creature come gli esseri umani e fanno parte della creazione»

«Uno dei tratti salienti della personalità di Francesco è la sua familiarità con la natura e con gli animali». Lo ha ricordato ieri sera il vescovo Domenico, celebrando il Transito di San Francesco nel santuario di Fontecolombo. Un’occasione che ha visto mons Pompili sottolineare quanto sia riduttivo ridurre il frate a un «ecologista ante litteram» e quanto sia dunque «necessario precisare la sua visione delle cose».

«Rispetto agli animali – ha spiegato il vescovo – Francesco è colpito dal falcone, dal fagiano, dalla cicala, dalle allodole. Tuttavia, non esita a scagliarsi contro una scrofa che aveva ucciso un agnellino in quel di san Verecondo. E la sua maledizione ne rende imputrescibili le carni, di cui non ci si può appropriare. Si ricava che il sentimento del Poverello non fosse un intenerimento sentimentale: c’erano animali che amava e altri che detestava come i topi e le mosche, di cui si serve per definire i religiosi inclini al vizio, definiti “fratelli mosche”».

E poi «rifiutava i cavalli, simbolo dell’arroganza e prediligeva gli asini. E anche a proposito della famosa predica agli uccelli, si trattava in origine di un riferimento esplicito al rifiuto della sua predicazione a Roma e gli uccelli non erano quelli gioiosi degli affreschi di Giotto, ma corvi, cornacchie e gazze, cioè uccelli impuri e disgustosi, che simboleggiano il rifiuto della Parola».

Ciò nonostante, gli animali secondo Francesco «hanno valore in sé, e non per il loro simbolismo o il loro vantaggio sociale. Sono creature come gli esseri umani e fanno parte della creazione. Sono degni di rispetto perché portano un riflesso dell’Onnipotente. Per questo l’uomo deve cercare di stabilire con essi una relazione non violenta». Eppure gli animali non sono mai citati negli scritti di Francesco, né il frate esita a mangiare le carni e il pesce, di cui era goloso.

A prima vista le contraddizioni non sembrano poche. Ma una chiave per comprendere il suo articolato pensiero, non solo sugli animali, ma sul cosmo, Francesco la fornisce nel Cantico di frate Sole, composto poco prima della sua morte: «Era già gravemente ammalato e con seri problemi alla vista. Si tratta di una lauda: dopo i molti impegni ascetici e le non minori sofferenze dovute alla malattia, il mondo appare a Francesco in una luce dolce, pura, come alle prime luci del giorno, e come riconciliato attraverso una ‘fraternità’ che non conosce più distinzione tra cose, animali, uomini e donne».

Una chiarore che illumina il transito del santo e invita ad acquisire «la vera saggezza, che consiste nel gioire della vita, senza cercare di possederla».