San Felice: modello di semplicità e autenticità evangelica

A concludere la giornata di festa in onore di san Felice, la comunità cantaliciana, guidata dal parroco mons. Gottardo Patacchiola, ha accolto il vescovo diocesano. Mons. Domenico Pompili è salito (letteralmente: parcheggiata l’auto a Cantalice inferiore, si è fatto a piedi tutta lunga gradinata che attraversa il centro storico fino alla parte alta!) alla “rocca” su cui si erge la chiesa grande dedicata al santo compaesano. Accolto dal sindaco Silvia Buccini, dal priore della Confraternita di San Felice da Cantalice Stefano Innocenzi con gli altri confratelli, da parroco e fedeli, col suono a distesa delle campane e le note della banda musicale del paese, il presule è giunto per presiedere l’ultimo appuntamento liturgico della giornata in cui la cittadina onorava il proprio patrono: terzo vescovo, dopo la Messa mattutina celebrata dall’emerito mons. Delio Lucarelli (che ha voluto essere presente anche a questa celebrazione vespertina) e quella solenne di mons. Lorenzo Chiarinelli cui era seguita, a fine mattinata, la processione con la statua del santo e la benedizione al paese e alla valle reatina con la sua reliquia.

Nel rivolgersi ai fedeli, don Domenico ha esortato a vedere nell’umile cappuccino vissuto nel Cinquecento un modello di semplicità e autenticità evangelica. Da buon seguace di san Francesco, Fra Felice si distinse nel suo sapersi affidare totalmente a Dio, abbandonandosi alla Provvidenza, capace di “cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia”, secondo le parole del Vangelo. Felice Porri, giunto nella Roma pontificia dopo la semplice vita contadina, rimase frate laico, con i voti religiosi ma senza mai diventare sacerdote: e questo, ha sottolineato il vescovo, è un invito per tutti i suoi devoti a valorizzare la vita laicale con la capacità di cercare il regno di Dio nel quotidiano. Un affidarsi al Signore che deve significare soprattutto il riconoscere e apprezzare la sua grandezza in tutto ciò che giorno per giorno si vive: san Felice, ha ricordato Pompili, era chiamato dai bambini e dal popolo romano “Frate Deo Gratias”, perché continuamente pronunciava questa frase. E la gratitudine è l’atteggiamento da imparare: saper essere grati a Dio vivendo ogni momento come un suo dono.

foto di Massimo Renzi