Salvini e Grillo uniti contro i migranti e dal vuoto a destra

Il sociologo Paolo Feltrin, dell’Università di Trieste: “Non si tratta di dire ‘dentro tutti’ o ‘fuori tutti’, i due estremi degli atteggiamenti rispetto all’arrivo dei ‘barconi’. La responsabilità della politica consiste nello stabilire delle regole, delle misure precise e condivise, che contemperino l’accoglienza umana e la capacità sociale di offrire risposte sostenibili e non demagogiche”.

Sono ancora gli immigrati che arrivano sui “barconi” ad agitare la politica del nostro Paese. Nei giorni scorsi la Lega è tornata in piazza a Milano (sabato 18 ottobre) radunando – pare – oltre 100mila persone sotto gli slogan “Prima gli italiani” e “Fermiamo l’invasione”. E subito dopo Beppe Grillo, coi suoi “cinque stelle”, ha dichiarato che “chi entra in Italia coi barconi deve essere identificato, i profughi vanno accolti, gli altri, i ‘clandestini’ rispediti da dove venivano”. Cosa è tutto questo? Una normale e “accettabile” reazione al crescere del numero d’immigrati che sbarcano in Italia? Oppure un ritorno di “razzismo”? Il Sir lo ha chiesto al sociologo Paolo Feltrin, dell’Università di Trieste.

Davvero, professore, dobbiamo “fermare l’invasione” come dice Salvini? O si tratta di un artificio lessicale per rilanciare la Lega in vista delle prossime elezioni?
“Mi pare che siano entrambe le cose. Il fatto politico è che Salvini sta cambiando in maniera piuttosto netta la fisionomia della Lega, profittando del risultato delle elezioni europee. Fino a un anno fa il partito era in difficoltà, ma dopo il crescere dei movimenti antieuropei e il loro successo elettorale le cose sono cambiate”.

Il cambiamento è profondo: non si parla più di “federalismo”. Perché?
“Perché da un lato le Regioni non hanno dato una buona prova di sé, anzi! Comprese, direi, le Regioni amministrate dalla Lega. Ma un secondo motivo, forse più importante, è che Salvini ha capito che c’era uno spazio politico ‘vuoto’, che poteva essere riempito: è lo spazio della destra di opposizione, lasciato libero dall’uscita di scena di Fini e dal crollo di Alleanza nazionale. Non a caso alle elezioni europee si è visto che parte del voto alla Lega proveniva anche dalle aree meridionali”.

Quindi non è più un voto e un sentire politico tipico del “Nord”?
“Certo, siamo di fronte a un voto che intercetta un sentire non regionale, ma nazionale. I due temi sui quali si sta giocando la scommessa leghista sono: da un lato, il conflitto con l’Europa e il tema dell’uscita dall’euro, per rimettere in circolo la vecchia Lira, vale a dire una moneta nazionale. Se ci ricordiamo, la Lega federalista era anche europeista. Ebbene, c’è stata una svolta a 360 gradi, di tipo nazionalista. Ciò è molto curioso. E poi c’è il secondo elemento catalizzatore di consensi: quello degli immigrati, due temi, curiosamente, che troviamo comuni a tutte le nuove forze della destra europea”.

È solo a “destra” che si rivolge la Lega?
“In realtà si tratta di un’area piuttosto vasta, che muove da destra ma incrocia vaste aree di elettorato scontento anche del centro e della sinistra. Basta pensare alla Francia dove per Le Pen hanno votato le cinture operaie delle città. Lo ha capito anche Grillo che si è inserito in questa ‘corrente’ premendo insieme su istanze ambientaliste e su quelle anti-immigrati. Stessi accenti li possiamo trovare anche nella lista Tsipras, sintomo che il malessere è generale”.

Come fermare questo disagio sociale?
“Il fatto è che l’Europa è vista più come problema che come soluzione, soprattutto per le sue politiche di austerità. Iniziando a mancare il lavoro ormai non solo in Italia e nei Paesi ‘periferici’ ma anche nelle ‘locomotive’ come Francia e Germania, la reazione anti-europea tende ad aumentare”.

Le forze di governo stanno forse sottovalutando questo malessere?
“Bisogna considerare che quando c’è recessione di norma i flussi migratori calano, invece in questo caso per ragioni del tutto indipendenti dalla congiuntura economica, i migranti aumentano per via di guerre, povertà per non parlare di Ebola. E quindi la ‘bomba sociale’ dei migranti si fa, in prospettiva, ancora più potente”.

Che scenari vede per il prossimo futuro?

“L’Europa deve affrontare in maniera più consapevole questo genere di problemi. Le migrazioni in atto hanno dimensioni superiori al previsto, la recessione nel frattempo incombe. L’impressione è che sia in atto un ‘irrigidimento’ sul tema, come dimostra la chiusura di ‘Mare Nostrum’. Ma il fatto è che i migranti sono destinati ad aumentare, e non a diminuire. Quindi c’è da attendersi che la reazione del tipo ‘prima gli italiani’ si potrebbe alimentarsi da sola”.

È giustificata l’accusa di “razzismo” per chi, come la Lega o Grillo, invoca di fermare gli arrivi?
“L’idea di accogliere e di amare gli immigrati, in quanto uomini come noi, è molto elevata ed è certamente da condividere. Ma il punto consiste entro quali limiti ragionevoli possa arrivare tale accoglienza. Non si tratta di dire ‘dentro tutti’ o ‘fuori tutti’, i due estremi degli atteggiamenti rispetto all’arrivo dei ‘barconi’. La Lega segnala un problema vero, che potrebbe diventare sempre più serio. Allora la responsabilità della politica consiste nello stabilire delle regole, delle misure precise e condivise, che contemperino l’accoglienza umana e la capacità sociale di offrire risposte sostenibili e non demagogiche”.