“Salute e migranti forzati”: buona partecipazione al convegno organizzato da Caritas e Comune di Rieti

Si è parlato di migrazioni in relazione al tema della salute, nell’interessante convegno svoltosi oggi in Prefettura, su iniziativa del servizio Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati del Ministero dell’Interno, con l’organizzazione del Comune di Rieti e della Caritas diocesana che, quale ente assegnatario del relativo bando, gestisce in loco le attività Sprar per i rifugiati adulti.

Un’attività che trova il suo senso pieno nell’ottica del solidarismo e del personalismo che ha la sua radice nel messaggio evangelico e che ispira la visione improntata all’umanesimo del nostro orizzonte costituzionale: non si deve mai dimenticare che, nel rapportarsi ai migranti, ancor più se in fuga da situazioni difficile e in attesa di ottenere protezione umanitaria, si ha a che fare con persone, non con numeri, ha ricordato il direttore della Caritas reatina, don Fabrizio Borrello, nel rivolgere il saluto dopo l’assessore comunale alle Politiche sociali, Stefania Mariantoni, e il direttore sanitario della Asl reatina, Paolo Anibaldi.

Il convegno, intitolato “Salute e migranti forzati: quali percorsi di cura?”, voleva fare il punto, con operatori dei servizi assistenziali e sociali che si occupano di richiedenti asilo e rifugiati, del problema concernente l’approccio verso questa particolare categoria del pianeta immigrazione: quello di chi lo fa, appunto, perché “forzato”, in fuga da situazioni pesanti. E parlare di salute, nei riguardi di queste persone, significa fare i conti con la situazione traumatica che si lasciano alle spalle e che ha prodotto pesanti ferite sicuramente sul loro animo, spesso anche sul loro fisico.

Di “prove di governance nazionale” riguardo la salute dei migranti ha parlato Salvatore Geraci, che dirige l’area sanitaria nella Caritas della diocesi di Roma, illustrando la situazione delle leggi (buone) e della loro concreta applicazione (su cui c’è ancora molto da lavorare): la normativa (il decreto legislativo n. 142 del 2015 che recepisce l’apposita direttiva Ue per l’accoglienza dei rifugiati) parla anche di assistenza sanitaria, con buone intenzioni ma con diverse criticità applicative, dato che da parte delle amministrazioni e delle istituzioni non c’è ancora un’applicazione uniforme e tanti aspetti restano sulla carta. Si sta puntando perciò a una governance nazionale di “sistema”, attraverso un tavolo tecnico fra Regioni, Ministero ed enti coinvolti, ma anche a una governance regionale di “prossimità” che valorizzi, in un’ottica di sussidiarietà, l’impegno di operatori, associazioni e migranti stessi affinché le politiche regionali tengano presenti le esigenze della salute di immigrati e soggetti deboli.

Mentre l’aspetto dell’organizzazione sanitaria locale lo ha spiegato, facendo il punto sul protocollo d’intesa che la Asl reatina sta mettendo in piedi per un modello di screening sanitario ad hoc, il dottor Fabio Gemelli, che nell’azienda sanitaria locale dirige proprio l’ambulatorio di Medicina delle migrazioni.

Fra i due, l’interessante intervento-testimonianza di Maria Paola Lanti, presidente dell’Etna, acronimo che sta per Etnopsicologia Analitica. Testimonianza frutto delle belle esperienze che tale organismo sta portando avanti a Roma con varie persone, approcciando a livello psicologico le storie più disparate. È evidente, infatti, che sulla salute hanno un forte impatto anche le determinanti sociali, e quindi i condizionamenti di tipo socio-economico, ambientali, culturali. Questo è valido tanto più per chi è reduce di situazioni, da quelle che lo hanno spinto a partire alle traversie spesso devastanti di viaggi alla mercé di aguzzini e profittatori, che rendono davvero difficile il raggiungimento di una salute intesa come pieno benessere psicofisico.

Da parte della dottoressa Lanti, anche alcuni “consigli per l’uso” agli operatori che, nelle attività Sprar e in generale nei servizi (di qualunque tipo) verso richiedenti asilo e rifugiati, si trovano davanti una persona con tali drammi alle spalle: sapere (possedere le nozioni teoriche necessarie), saper fare (tenersi pronte con le giuste procedure secondo modelli di intervento adeguati) ma soprattutto saper essere, cioè mantenere un approccio che anche sul piano psico-emotivo e personale si sappia relazionare con chi ha bisogno di una condivisione davvero grande.

foto Daniela Rusnac