Ritorna il western

“The Salvation” è un gioco stilistico di riscrittura ben fatto ma fine a se stesso

1870, profondo West: l’immigrato danese Jon attende da anni di portare il figlio e la moglie negli Stati Uniti. Finalmente la famiglia si ricongiunge. Ma l’idillio dura poco. Due balordi uccidono, davanti ai suoi occhi, la donna e il bambino. Jon si vendica immediatamente. Ma non sa che gli uomini che ha ucciso sono imparentati con lo spietato colonnello che terrorizza la zona. Si trova suo malgrado coinvolto in una catena di vendette senza fine.

“The Salvation”, del regista danese Kristian Levring, è un western che omaggia i grandi film del passato, riproponendone gli elementi essenziali. Un cattivo che tiranneggia un’intera cittadina. Una donna fatale che alla fine si pente e si redime. Uno sceriffo-predicatore che non riesce a mantenere l’ordine. Un eroe individualista e solitario che cerca una giustizia privata e che salva un’intera comunità. Il regista indugia nelle scene all’aperto, nei grandi spazi del West, e naturalmente nelle sparatorie, da sempre pilastro del genere. Ma quali sono le sequenze più celebri dei western del passato? Indimenticabile è senz’altro John Wayne, alla guida della carovana che attraversa la Monument valley e che spara contro gli indiani che stanno attaccando. È “Ombre rosse” capolavoro di John Ford. Altra scena memorabile è quella finale di “Mezzogiorno di fuoco”. Gary Cooper è lo sceriffo di una cittadina. Nel giorno del suo matrimonio scopre che un assassino che aveva fatto imprigionare sta tornando per ucciderlo, con il treno delle 12. Decide di affrontarlo e di farlo da solo, tra le strade assolate della sua città, mentre la futura moglie aspetta in ansia. Ma chi ha rivoluzionato il modo di girare le scene dei western è stato senz’altro il nostro Sergio Leone. Ne “Il buono, il brutto e il cattivo”, lo scontro finale è raccontato con intensi primi piani dei protagonisti (Clint Eastwood su tutti) e la musica incalzante di Ennio Morricone, all’interno di un cimitero. Un gioco di sguardi prima che di pallottole in un crescendo di tensione. Come succede anche in “C’era una volta il West”, dove si fronteggiano a colpi di occhiate e silenzi, Charles Bronson e Henry Fonda. E dove la bellissima Claudia Cardinale, come tutte le donne dei western, rimane da sola mentre gli uomini partono verso nuove avventure e vendette. Con “Il mucchio selvaggio” Sam Peckinpah mostra per la prima volta la vera violenza: la scena della sparatoria è ripresa da diversi punti di vista e riproposta al ralenty. Senza questo film non saremmo potuti arrivare a “Django” di Quentin Tarantino che, ovviamente, è una diretta filiazione di quel modello, così come dei modelli precedenti.

L’opera del regista, americano, infatti, in pieno stile postmoderno, omaggia tutto il genere western, con citazioni di ogni tipo. Anche “The Salvation” rende onore a tutti questi grandi classici: pochi dialoghi con battute ad effetto, musiche in sottofondo, scene dove s’incrociano sguardi e pallottole. Ma a differenza di “Django” la sua rimane un’operazione eminentemente formale, di riproposizione degli stereotipi del genere.

Non c’è un ripensamento etico alla base, come invece avviene con Tarantino. Nel senso che nel cinema classico il western aveva un’etica ben precisa: era l’affermazione della civiltà bianca e della sua cultura sullo stato selvaggio di natura (di cui facevano parte anche gli indiani). Con gli anni Sessanta si è capovolta l’etica di base: i bianchi sono invasori senza rispetto per la cultura locale indiana, degli usurpatori violenti, dei colonialisti. Tarantino, naturalmente, è figlio di questa revisione ideologica su cui aggiunge la sua personale visione: quella di un mondo nichilista privo di valori. In “The Salvation” non troviamo nulla di tutto questo: siamo di fronte ad un gioco stilistico di riscrittura di storie passate, sicuramente ben fatto, ma forse un po’ fine a se stesso.