Rifugiati a Rieti: senza cibo e servizi

Da venti giorni senza gas, con la corrente elettrica che funziona e non funziona, sempre e solo con un pasto al giorno servito dalla mensa dei poveri: sono le condizioni di un gruppo di rifugiati ospiti della città di Rieti. Ce ne eravamo già occupati i primi giorni dello scorso marzo, ma da allora poco o niente sembra cambiato.

Ci spiegano che nessuna istituzione ha preso l’iniziativa di andare a verificare le loro condizioni di vita, i loro disagi, il loro dramma. Non riescono neppure a frequentare il corso di italiano per stranieri organizzato presso l’Ufficio Informagiovani del Comune di Rieti. «Quando ti alzi la mattina e sei affamato, non hai né la possibilità, né la voglia di studiare» spiega Dennis in inglese.

«Chiediamo alle cooperative che hanno in mano questi ragazzi di utilizzare ogni senso di umanità» esorta don Valerio Shango, direttore dell’ufficio diocesano Problemi Sociali e Lavoro. «Qui c’è un discorso di sfruttamento che sta andando avanti. Sembra che oggi ci troviamo dinnanzi ai nuovi schiavisti. Non è possibile che degli uomini debbano vivere senza cibo, senza acqua calda. Sono persone che non sono venute qua per chiedere l’elemosina. Sono scappati da una guerra. Sono in cerca di un futuro migliore. Non vogliono delinquere. Vogliono solo integrarsi. Sono giovani, sono forti. Molti hanno studiato, sono preparati. Hanno voglia di lavorare».

«Facciamo qualcosa – aggiunge don Valerio – io interpello le istituzioni affinché ciascuno dimostri di avere ancora un cuore».

«Guardate alla nostra condizione – chiede Mohamed – non credo che vi piacerebbe vedere vostro figlio dormire senza cibo, senza gas, senza luce. Siamo stati più di sei mesi senza elettricità. Poi l’hanno portata insieme al gas, ma quando il gas è finito non che lo hanno riportato. E dopo poco ci è stata staccata parte della corrente. Non lo vorreste per i vostri figli, perché lo tollerate per noi? Anche noi siamo figli di persone. Siamo tutti figli di Dio».

«Le istituzioni, le autorità, facciano una visita sul serio, verifichino nelle varie strutture sparse nella provincia di Rieti, qual è la vera condizione di questi profughi che abbiamo accolto» insiste don Valerio. «La gente di Rieti è brava. Per l’imprudenza o gli egoismi di pochi, rischiamo di passare come se fossimo tutti razzisti. I fondi esistono, e noi sollecitiamo l’impegno diretto delle istituzioni. È meglio andare a vedere di persona – conclude il direttore dell’ufficio diocesano Problemi Sociali e Lavoro – che fidarsi dei fogli di carta che arrivano sulle scrivanie».