La riflessione del vescovo Domenico all’incontro degli operatori pastorali: «Spirito, anima e corpo, il servizio per tutto l’uomo»

Evangelizzazione, liturgia, carità, i tre ambiti per il lavoro di animazione. Dopo gli incontri divisi per area, in S. Agostino il vespro col «mandato».

Spirito, anima e corpo. Tutto l’uomo. Che in termini di azione ecclesiale, cioè di comunità che gli uomini raduna, che agli uomini si rivolge, che l’uomo vuol servire, sono le tre dimensioni costitutive dell’essere Chiesa: annuncio, culto, carità. Così ha voluto declinarle monsignor Pompili parlando agli operatori pastorali riuniti in S. Agostino per il vespro di inizio Avvento, dopo gli incontri che in base a quella triplice suddivisione li aveva visti in precedenza radunati.

A loro, al termine della solenne liturgia – apertasi con il rito del “lucernario” –, il vescovo ha conferito il mandato: un mandato, che vuol essere un auspicio a rendere concreta, in chi assume il compito di animare la vita pastorale nelle sue tre dimensioni, quell’aspirazione alla perfezione che Paolo augurava come punto di arrivo dell’opera di santificazione, ha detto monsignor Domenico
commentando le parole dell’apostolo ai cristiani di Tessalonica.

Un mandato esplicito, ha rilevato Pompili, «perché in realtà siamo sempre in via di perfezionamento: non si nasce cristiani e neanche lo si diventa automaticamente perché attraverso i sacramenti pensiamo di essere già arrivati. Siamo tutti in qualche modo in via di definizione. E il fatto che alcuni laici e religiosi assumano per mandato della Chiesa, non per far piacere al parroco, o per un hobby personale, o per una auto–gratificazione questo compito, sta a dire che anche alla nostra generazione tocca di crescere nella fede e nelle sue articolazioni fondamentali: la catechesi e prima ancora l’annuncio, la liturgia e la carità». In una realtà sociale, come la nostra imbevuta da tanti secoli di cristianesimo, in cui non si inizia da zero, «ma ogni generazione è chiamata a rifare propria la scelta della fede, perché non si vive di rendita». E dunque un mandato «impegnativo, perché ci dice che c’è ancora tanto da fare insieme».

Le tre dimensioni, dunque, sono il modo che aiutano a servire l’uomo totale in spirito, anima e corpo: «Lo spirito, anzitutto. Cioè educare al senso della presenza di Dio in un mondo che si è fatto materialista, chiuso e non dà spazio se non a ciò che è visibile, verificabile. Noi sappiamo che la realtà va molto più in là di ciò che si vede e si tocca. Lo spirito significa riconoscere questa possibilità. Negare lo spirito significa amputare una parte dell’umano. E poi l’anima, cioè l’interiorità di ciascuno di noi. Che non è solo pulsioni e bisogni da soddisfare, ma anche emozioni e relazioni da coltivare. Anche qui l’anima è certamente una dimensione da coltivare, dai più piccoli ai più grandi. E infine il corpo, che non è un semplice rivestimento, ma è la nostra identità, che trascolora nel corso dell’esistenza, ma è proprio ciò che noi siamo».

Il momento vissuto all’inizio del nuovo anno liturgico è stata un’occasione – per i tanti partecipanti, raccogliendo, tra l’istituto Bambin Gesù e la basilica agostiniana di piazza Mazzini, chi si impegna come catechista, animatore giovanile, operatore della Caritas, del volontariato, dell’animazione sociale, per chi cura il canto, l’animazione liturgica, il servizio ai malati e via dicendo – per riflettere, prima della celebrazione dei Primi Vespri col vescovo, sul valore delle attività svolte, di cui occorre innanzitutto cogliere il senso.

Per esempio il senso del sacro, del bello, dell’autenticità che innanzitutto la liturgia è chiamata a trasmettere e nel quale gli animatori dei vari aspetti liturgici si devono sentire “zelanti”: i sacri riti, ha detto il direttore dell’Ufficio liturgico padre Ezio Casella, devono far respirare l’unione dei fedeli con Dio attraverso segni eloquenti, gesti semplici e veri, con quella “nobile semplicità” che fa sentire vicino il cielo. E poi il senso di novità e di speranza che deve caratterizzare l’impegno di evangelizzazione, ha detto a catechisti e affini padre Mariano Pappalardo invitando a offrire un annuncio di “ri–costruzione” a chi vive i vari “terremoti” esistenziali, con un’attenzione educativa – come precisato anche da don Luca Scolari nel parlare in particolare di pastoralefamiliare, giovanile e vocazionale – capace di parlare in modo “vitale” a piccoli e grandi.

Il senso di novità e speranza da donare alla gente, condividendone ansie e angosce, è anche quanto anima gli operatori della carità e quanti si accostano al mondo del lavoro, della malattia, della fragilità con spirito di condivisione, ha detto don Fabrizio Borrello illustrando in particolare l’impegno che la Caritas da lui diretta mette in campo nel dopo terremoto.

E il cammino di una Chiesa “più forte del sisma” è la riflessione che anima la breve ma intensa Lettera pastorale del vescovo intitolata L’atto di fede, consegnata a sacerdoti e operatori pastorali al termine dell’incontro per essere diffusa nelle comunità.