Ricordati di… “sacrificare” le feste

All’apertura forzata dei negozi non sfugge neppure il primo maggio? Fatevene una ragione, oppure la rivoluzione

I negozi e centri commerciali aprono non solo la domenica, ma pure il 25 aprile e il Primo maggio? Non c’è da stupirsi. Fra non molto si potrà fare shopping anche il giorno di Natale.

Velleitario pensare di santificare le feste, religiose o civili che siano: già a chiedere di rispettarle sembra di pretendere troppo. «Ogni resistenza è inutile» si sente dire dalla stanza dei bottoni: «Sarete assimilati». Ed infatti le aperture forzate, inopportune e tutto sommato insapori ci scandalizzano sempre meno.

È cominciato tutto desacralizzando la domenica. E una volta caduto il primo bastione è stata attaccata praticamente ogni festa. Tutto per il nostro bene ovviamente. Anzi no: per il bene del mercato.

Non è proprio la stessa cosa, ma non importa essere precisi: nel frattempo la mozione è passata. Gli intelligentoni al potere ci hanno convinto. Hanno reso ogni giorno dell’anno un normale giorno di lavoro. Ma forse sarebbe più corretto dire “di consumo”.

Infatti le aperture domenicali hanno assai poco a che fare con il lavoro. Il lavoro dovrebbe servire ad accrescere il progresso materiale o spirituale della società. Costringere le persone a lavorare e fare commerci 365 giorni l’anno non sembra un gran passo in avanti.

Se non ci credete provate a chiederlo alle commesse. Non solo non ci guadagnano in progresso, ma pure in euro il vantaggio è spesso minimo, se non del tutto inconsistente. «A volte capita di non avere un giorno libero per due settimane di fila», spiegano, «e in busta paga, per questa rinuncia, ci ritroviamo appena 15 euro in più».

E alla società che gliene viene dal trovare le serrande alzate 24 ore su 24, 7 giorni su 7? Certe volte può essere comodo, ma non sembra davvero una necessità. E di sicuro non siamo diventati migliori per questo, né come individui, né come comunità. Né si può dire che al tempo in cui i giorni erano davvero divisi in festivi e feriali ci toccasse assistere a scene di disperazione. Però le famiglie riuscivano a riunirsi almeno nei giorni di riposo, e il momento di pausa sembrava ridare sapore pure al tempo attivo.

Direte che al giorno d’oggi questi sono ragionamenti da anime belle, inutili nostalgie, capricci di una società infantile. Direte che se si vuol “crescere” l’umano conta poco, che a muovere il mondo sono soprattutto i numeri dell’economia. Sarebbe una consolazione, ma non sembra che i negozi aperti pure la domenica vadano meglio degli altri. E con le liberalizzazioni sarebbero dovuti arrivare nuovi posti di lavoro di cui nessuno pare aver fatto esperienza.

Ma allora perché questo processo di omogeneizzazione del tempo va tranquillamente avanti senza incontrare una vera opposizione?

Forse è solo la dilagante imbecillità. Forse è che sul disagio di tanti ci guadagnano quei pochi capaci di riuscire a determinare davvero le scelte. In entrambi i casi sembra sempre spettare a noi la fatica di cambiare sistema.

Peccato che nonostante la lagna diffusa, il nostro non sembri davvero il tempo di una rivoluzione!