Quei due bimbi sospesi tra la vita e la morte

A Milano, grazie anche all’abnegazione dei medici, riesce a nascere un piccolo dal grembo di una madre colpita da emorragia cerebrale e destinata a morire. A Corigliano Calabro una donna uccide il figlio con l’accordo di un medico che le procura un aborto. Obiettivo: incassare l’assicurazione di un finto incidente stradale.

I medici non sono tutti uguali. E nemmeno i bambini nel grembo della madre. Due notizie di cronaca si intersecano e squassano i pensieri nella loro drammatica sequenza.
A Milano è stato dimesso, in piena salute e con il peso-forma di 2 chili e 600 grammi, il bimbo nato il 18 dicembre scorso dopo la gestazione assistita e curata dai sanitari a seguito dell’emorragia cerebrale che aveva colpito la madre rendendola incosciente e che l’ha portata alla morte. La donna, 36 anni, era arrivata all’ospedale S. Raffaele il 21 ottobre, incinta di 23 settimane. Ricoverata nel Reparto di Neurorianimazione, per 9 settimane il suo corpo ha ricevuto supporti respiratori, cardiocircolatori e nutrizionali, così da consentire la progressiva maturazione del feto. L’obiettivo dei medici e dei parenti era quello di raggiungere almeno la 28esima settimana di gestazione e così, arrivati alla 32esima, si è deciso di procedere al cesareo. Il piccolo era venuto alla luce in buone condizioni e pesava 1 chilo e 800 grammi. I familiari della madre avevano acconsentito alla donazione degli organi della donna. “Un caso umanamente e scientificamente eccezionale” ha commentato Massimo Candiani, a capo dell’équipe che ha fatto nascere il bimbo, un caso di buona sanità in cui la qualità delle cure e l’impegno di tutto il personale sanitario ha permesso di compiere un piccolo miracolo in un caso difficilissimo, il cui esito felice non è mai stato dato per scontato.
A Cosenza, invece, gli inquirenti si sono trovati davanti a una sceneggiatura dell’orrore. Indagando su un giro di truffe alle assicurazioni, hanno scoperto il caso di un bambino lasciato morire dopo il parto, allo scopo di imputarne il decesso a un aborto causato da un finto incidente stradale. Nel 2012 una trentasettenne di Corigliano Calabro mentre era incinta tra la 24esima e la 28esima settimana, ha simulato un incidente stradale e si è presentata al pronto soccorso denunciando che il sinistro le avrebbe provocato la nascita prematura e successiva morte del bimbo. In realtà, secondo gli investigatori, la donna, con il suo consenso, è stata indotta a al parto con la tecnica del “pinzamento” e, nonostante il bambino fosse nato vivo, non gli sarebbero state fornite le cure necessarie e sarebbe stato lasciato morire grazie alla complicità di un medico del Pronto soccorso. Una volta riscosso l’indennizzo, medici e pazienti si sarebbero divisi i soldi del risarcimento ottenuto dall’assicurazione. Il dirigente della sezione di polizia stradale di Cosenza, Domenico Provenzano, nel corso della conferenza stampa per illustrare i particolari dell’operazione ha affermato che “sarebbe bastata una boccata di ossigeno e il bimbo oggi sarebbe vivo”. “È stato accertato che il feto, quando è nato, era vivo, ma è stato privato di qualsiasi tecnica perché si salvasse” ha ribadito il colonnello Giosuè Colella, comandante della Guardia di finanza di Cosenza. Ad accrescere lo squallore, secondo l’accusa la gestante avrebbe concepito appositamente il bambino e atteso che la gravidanza arrivasse al settimo mese per poter avere più soldi dall’assicurazione come risarcimento per il finto aborto. Il premio però non è stato mai pagato, proprio in ragione dell’inchiesta in corso.
Due episodi paralleli, svolti in tempi diversi, che solo la casualità ha accomunato, riportandoli nello stesso giorno nella sfilza delle notizie battute dalle agenzie e riversate nei giornali. L’umano e l’inumano convivono così stretti nel cuore dell’uomo? La lotta tra il bene e il male, tra chi si prodiga per proteggere e chi si accanisce ad uccidere, è una costante inevitabile nella Storia, ma sono le piccole storie che ci raccontano davvero cosa sia l’abnegazione e dove arrivi l’abiezione, in uno stesso mondo in cui c’è un luogo in cui si scorge la speranza e uno in cui la si annienta.
Non c’è cifra alcuna che possa adeguatamente ricompensare i medici che salvano una vita. È bastata l’ipotesi di un compenso tutto sommato modesto per sopprimere un innocente.
A commentare, oggi, le tassonomie bioetiche risultano superflue, bastano uno specchio e quella sana categoria dello spirito che risponde al nome di coscienza: chi voglio essere?