Quarant’anni fa in Cile

Era l’alba dell’11 settembre 1973 quando i caccia sganciarono le prime bombe sul palazzo presidenziale della Moneda di Santiago. Poi arrivarono i carri armati dell’esercito guidato da Augusto Pinochet.

Poi arrivò il sangue del presidente Salvador Allende e la fine di un sogno chiamato libertà che sprofondò nell’orrore un intero paese ed il suo popolo. Centinaia, migliaia di uomini e donne torturati, uccisi, scomparsi, trucidati.

Il Cile ed il suo popolo non cantarono più, perché le parole dei poeti e le canzoni dei menestrelli erano sopraffatte dalle grida di terrore e dolore di quella nazione piagata nell’anima.

Victor Jara, cantautore e poeta, era tra quei corpi che vennero trascinati allo stadio di Santiago del Cile l’11 settembre del 1973. Il suo nome era tra quelli “indesiderati” e quindi gli spettava un posto nelle prime pagine sui quaderni della muerte di Pinochet.

Durò cinque giorni il martirio di Victor. Il 16 settembre del 1973, cinque giorni dopo il golpe, Victor aveva 41 anni ed era il simbolo dell’esperienza socialista del presidente Salvador Allende, membro del comitato centrale della gioventù comunista, oltre che uno dei cantautori più famosi e apprezzati da intere generazioni.

Fra l’11 e il 16 settembre il cantautore amato dal pueblo trascorse i suoi ultimi frammenti di vita nello Estadio Nacional de Chile dove ogni ora del giorno e della notte era scandita da pestaggi ed esecuzioni.

Ma per Victor avevano programmato un “trattamento” di riguardo. A Victor Jara massacrarono le mani. Gli spezzarono le dita una ad una mentre gli chiedevano di suonare ancora la sua chitarra.

Facevano paura quelle mani. Perché facevano innamorare, cantare, germogliare il seme della rivolta in un popolo piegato, ma mai spezzato. Non bastava uccidere Victor Jara, si doveva fare scempio del suo corpo finito con 44 colpi di fucile. Ma i proiettili, i tiranni non lo capiscono, non zittiscono la voce di chi canta. Anche se gli spezzi le mani e distruggi il suo corpo.

E così la voce di Victor Jara ha corso come un’eco dall’Estadio Nacional, per i vicoli, nei palazzi, tra la gente, riscaldando i cuori di quanti continuavano a credere nella rivoluzione.

Fu la moglie Joan ad identificare il corpo di cui le guardie avevano fatto scempio. Vide tutto e tutto sopportò con dignità. Le ferite, i tagli, lo scempio perché Victor «aveva un’espressione di enorme forza, di sfida, gli occhi aperti».

E fu lì che il potere, anche se ancora nessuno lo sapeva, iniziò a vacillare. Perché quella marionetta impazzita che era Augusto Pinochet aveva esagerato. Aveva regalato al popolo cileno un simbolo. Le mani tagliate di Victor Jara erano diventate un simbolo. Erano la resistenza. Erano sfuggite alla morte.

Con il sangue di Victor avevano innaffiato il vento della ribellione. Le sue canzoni avevano tracciato la strada e lasciato un segno profondo. Non servì a nulla il tentativo del regime di vietare la vendita dei suoi dischi e distruggerne le matrici. I ragazzi le conoscevano a memoria.

All’inizio di quest’anno la giustizia cilena ha condannato otto ex ufficiali dell’Esercito cileno accusati di essere autori e complici dell’assassinio del cantautore.

Dopo quarant’anni Victor Jara ha avuto giustizia, che avrebbe voluto condividere con tutti gli altri innocenti massacrati dal regime di Pinochet. Il tempo trascorso da quell’11 settembre 1973 non ha cancellato l’orrore, ma la giustizia terrena potrebbe regalare un po’ di pace alle migliaia di vittime e a chi ancora le piange.

Joan Turner, la vedova di Victor Jara, ha sperato in questa giustizia per 39 anni, ma non vuole comunque dimenticare nonostante abbia conosciuto la verità sulla morte del suo uomo. «Lo trovammo in una stanza trasformata in obitorio. Era su una montagna di cadaveri. Le ossa fratturate, i vestiti strappati Solo il viso esprimeva ancora forza. Aveva guardato in faccia fino alla fine i suoi assassini».

Gli stessi che, 39 anni dopo, anche lei ha potuto guardare negli occhi. Quando le venne riconsegnato il corpo devastato del marito, Joan trovò in un tasca un foglio con le parole di una canzone, “Estadio Chile” l’ultima scritta prima di essere ucciso.

Dall’11 settembre 2003 lo stadio di Santiago è intitolato al cantautore Víctor Jara.