Il progetto dell’ex SNIA può aiutare Rieti a ripartire?

Ho letto con grande interesse, da oltreoceano, del nuovo concorso internazionale promosso dall’antenna RENA (Rete per l’Eccellenza Nazionale, una no profit) di Rieti, il Monte dei Paschi di Siena (la terza banca Italiana per valore degli asset) ed il Comune di Rieti per la riqualificazione dell’ex area industriale SNIA Viscosa. Come si legge dal sito RENA: «[il concorso internazionale di idee servirà a] raccogliere e selezionare progetti sostenibili per riqualificare l’area come sito produttivo, luogo di formazione e spazio identitario culturale».

Un’iniziativa molto ambiziosa, da lodare e supportare. Lo hanno fatto già in molti nella nostra città, tra esponenti politici e della società civile. Non posso che farlo anche io.

Permettetemi, però, di inserirmi nel dibattito sulla competitività e sviluppo economico di Rieti fornendo qualche spunto riflessione. È da qualche mese che nel mio (poco) tempo libero mi diletto a guardare le serie storiche sui dati macroeconomici della nostra Provincia facendomi delle domande e cercando delle risposte che vadano al di la’ della aneddotica di ‘piazza’, anche se la statistica descrittiva ha dei grandi limiti, soprattutto quando i dati disponibili pubblicamente in rete sono pochi. Una analisi più  approfondita sulla competitività richiederebbe molto più tempo e risorse; ma si può fare.

Una economia sempre più in ginocchio

Non è un mistero che la nostra Provincia sia sempre più in crisi. Non serve un giovane economista della Banca Mondiale a dirlo. Ma un po’ di statistica descrittiva può aiutare a fornire un quadro di insieme. Anche i tuttologi del ‘lo sapevo già’ possono imparare qualcosa continuando a leggere; ve lo garantisco.

Guardando i dati macro-economici aggregati si può notare che è dal 1931 che (con poche eccezioni annuali) il PIL pro capite della Provincia di Rieti è al di sotto della media del Lazio (anche senza Roma), del Centro e dell’Italia. Vi dirò di più. In termini di reddito disponibile siamo assai simili a Paesi economicamente meno sviluppati dell’Italia. Per darvi un’idea il reddito pro capite (in valori nominali) della Provincia di Rieti è equivalente a quello di Porto Rico e della Slovacchia. Dal 2009, anno della crisi, l’economia di Rieti (in termini di PIL) ha perso il 12.4% (in termini reali, cioè tenendo conto dell’inflazione).

Nello stesso periodo, il PIL nazionale è diminuito del 7.7%. Sempre dal 2009, il numero dei disoccupati di Rieti è aumentato del 45% (ciò non prende in considerazione gli occupati nel mercato informale, o in nero, ma non ci sono motivi validi per considerare Rieti diversa dalle altre realtà nazionali; sive l’impiego informale non supplisce all’impiego formale più che in altre province). A partire dal 2004, Rieti ha mantenuto il tasso di inattività più alto del Lazio, del Centro e dell’Italia, segnalando una scarsa partecipazione attiva della forza lavoro.

Dal lato del settore produttivo la situazione è sempre più allarmante. A partire dal 1991 si è compiuta l’ultima fase dell’evoluzione strutturale dell’economia di Rieti con la definitiva terziarizzazione ed il crollo del settore dell’industria (tra cui la stessa SNIA Viscosa/Nuova Rayon). Nel 2011, la quota dei servizi sul PIL della provincia di Rieti ha raggiunto l’84.6%. Allo stesso tempo, nel 2011, la contribuzione dell’industria al PIL di Rieti ha raggiunto il minimo storico scendendo al disotto del livello del 1951. I dati sulle imprese mostrano che nel solo 2013 1,209 imprese hanno cessato la propria attività a fronte di 920 iscritte. Per cui, il settore produttivo è sempre più esiguo ed orientato ai servizi.

Dal lato della domanda li consumi privati della provincia di Rieti sono, pro capite, inferiori alla media dell’Italia, del Lazio e del Centro (in termini nominali). Tra il 2004 ed il 2011, i consumi privati di Rieti sono aumentati in media di meno che in tutte le altre province del Lazio. Ciò non è un caso. Rieti ha un reddito disponibile e patrimonio netto medio delle famiglie inferiore alla media dell’Italia, del Centro e del Lazio. Dunque, non solo non produciamo, ma consumiamo sempre meno. Per cui l’espansione ‘selvaggia’ del settore dei servizi avvenuta negli ultimi anni (con centri commerciali, etc.) è da ritenersi economicamente irrazionale, soprattutto se si aggiunge la esigua dimensione del mercato locale. Da qui la mia critica della proposta di fare dell’ex zuccherificio un centro commerciale, ad esempio. Infine, guardando i dati sulla povertà si può osservare che Rieti ha una percentuale di famiglie in condizioni di povertà ben più alta delle altre province del Lazio (insieme a Frosinone), così come della media del Centro Italia.

Una economia chiusa, con dubbio potenziale di crescita

Se le serie storiche non sono favorevoli a Rieti, gli indicatori di crescita potenziale non danno un quadro migliore. Le imprese di Rieti sono tra le meno innovative di Italia. Tra le Province Italiane, Rieti si classifica 101a per intensità brevettuale. Tra il 1999 ed il 2012, Rieti ha registrato soltanto 24 domande di brevetto contro le 2,114 di Roma, le 126 di Frosinone, le 101 di Latina e le 34 di Viterbo. Inoltre, non solo le imprese Reatine innovano meno che nel resto di Italia, ma sono poco interessate all’innovazione. Da un sondaggio della Camera di Commercio del 2010 solo il 3.7% di imprese di Rieti ha richiesto sostegno per attività di Ricerca e Sviluppo. Ciò è indice di uno scarso livello di importanza assegnato dalle imprese di Rieti all’attività di R&S ed innovazione tecnologica. Infine, i dati sulle start-up mostrano che a Rieti sono presenti ZERO start-up innovative. Nel Lazio ve ne sono 61. A Terni 11.

I dati sul commercio estero mostrano che l’economia di Rieti non solo si sta riducendo sempre più come quota del PIL nazionale, ma è chiusa ai mercati internazionali. I dati del 2012 sul tasso di apertura dell’economia di Rieti mostrano una quota molto bassa del commercio estero in percentuale al PIL (16.4%). Stessa storia per i dati sulla propensione all’export, cioè del valore delle esportazioni sul totale del commercio estero (6.7%). Entrambe gli indicatori sono inferiori alla media del Lazio, del Centro e dell’Italia. Inoltre, le poche imprese di Rieti che esportano, esportano sempre più prodotti la cui domanda è in declino nel mercato globale. Nella seconda metà degli anni 2000 fino al 2011, il peso delle esportazioni in settori a domanda dinamica (definizione Ateco 2007) sul totale delle esportazione è andata sempre più diminuendo. Ciò vuole dire che le imprese Reatine esportano sempre più prodotti poco richiesti nel mercato internazionale. In un momento di depressione della domanda interna l’accesso al mercato estero diviene ancora più importante. È per questo che molte imprese Italiane si sono salvate dalla crisi, soprattutto medie.

Guardando alla presenza di potenziale capitale umano altamente qualificato, la quota dei laureati in discipline scientifiche quali Economia, Ingegneria, e Fisica sul totale dei laureati di Rieti è inferiore alla media dell’Italia, del Lazio e del Centro. Inferiore alla media dell’Italia, del Lazio e del Centro è anche il dato aggregato della quota dei laureati di Rieti in discipline scientifiche (ottenuto dalla somma dei laureati in Economia, Ingegneria, Matematica e Statistica, e Fisica).

Ahimé, non posseggo dati sulla produttività e sul costo del lavoro. Ma la mia intuizione è che, purtroppo, non racconterebbero una storia diversa…

Un ‘Business Environment’ poco favorevole all’attività d’impresa e d’investimento?

L’organizzazione per la quale lavoro, la Banca Mondiale, stila ogni anno un indice, il Doing Business, che misura quanto la pressione legislativa/regolamentativa di ogni Paese ostacoli/favorisca l’attività di impresa. Ad esempio, misura quanto tempo, quante procedure, e quali costi debba supportare una Piccola e Media Impresa (PMI) nazionale per registrarsi, per pagare le tasse, per avere accesso all’elettricità, per commerciare, ed altro. Questo indice è usato dalla maggior parte degli esperti mondiali di sviluppo del settore privato come proxy della competitività di un territorio. Non è un mistero che l’Italia faccia piuttosto male in questo indice, peggio delle altre maggiori economie Europee (i.e. Germania, Francia e Regno Unito) così come in tutti gli altri indici di competitività, tra cui il Global Competitiveness Report del Forum Economico Mondiale.

Oltre agli studi nazionali, studi a livello territoriale di Doing Business sono stati fatti dalla mia organizzazione per molti Paesi. Anche sull’Italia. Ahimé, Rieti non era inclusa. Sarebbe interessante indagare quali sono i fattori che inibiscono maggiormente l’attività di impresa nel nostro territorio relativamente al resto del Paese. Le riforme suggerite da questi indicatori sono facili da fare, costano poco, ed hanno un grande impatto sull’attività di impresa (come dimostra la letteratura economica). Per esempio, diminuire il numero di procedure occorrenti ad avere l’allaccio all’elettricità o a pagare le tasse già diminuirebbe i costi alle imprese senza dover toccare i costi diretti dell’energia e l’imposizione fiscale. La domanda è: perché non si fanno?

Sarebbe però necessario analizzare in dettaglio quali siano i fattori che inibiscono preminentemente la competitività e la crescita sostenibile di Rieti. L’elaborazione di una strategia di sviluppo non può prescindere dalla fase di analisi e diagnostica. Almeno questo è ciò che mi hanno insegnato. Altrimenti si rischia di andare avanti per tentativi, facendo buchi nel vuoto.

Prendendo alcuni dei pochi indicatori disponibili, si può notare che, ad esempio, la dotazione infrastrutturale totale di Rieti è inferiore alla media dell’Italia, del Lazio, del Centro e di tutte le province del Lazio. Vale lo stesso per la dotazione di infrastrutture di rilevanza strettamente economica.

Molte occasioni mancate di sviluppo industriale

La storia industriale del nostro territorio la conoscono quasi tutti. Quasi ogni famiglia (allargata) ha avuto almeno un proprio parente impiegato nelle grandi aziende che si erano impiantate a Rieti negli scorsi decenni. L’ex SNIA Viscosa era una di quelle. Ahimè, al di fuori della aneddotica, i dati macro economici mostrano che anche ‘gli anni d’oro’ della Provincia non era poi così d’oro se confrontati al resto del Paese, al resto della regione Lazio (anche senza Roma) ed al Centro Italia. Il PIL di Rieti è rimasto al di sotto della media dell’Italia, del Lazio (anche senza Roma) e del Centro, fuorché nel 1981. Ahimé, per un motivo o per un altro Rieti non è riuscita a trasformare la crescita degli anni ’70 in sostenibile nel lungo periodo. La crescita ‘drogata’ dagli aiuti della Cassa del Mezzogiorno è finita alla fine degli anni ’70. Tra il 1981 ed il 2001 il differenziale con la media del PIL dell’Italia, Lazio e Centro è schizzato.

I settori della chimica, delle apparecchiature elettroniche, e dei sistemi di dosaggio hanno rappresentato una grande opportunità di sviluppo per Rieti per creare un distretto industriale di eccellenza. Ahimé, vuoi le scelte di politica industriale sbagliata dettate da razionalità politiche, piuttosto che economiche, vuoi i personaggi di dubbia competenza a capo del nucleo industriale, vuoi la mancanza di investimenti in infrastrutture produttive, vuoi l’assenza di istituti professionali ed università per la formazione di personale altamente qualificato, vuoi la crisi del nostro Paese, la concorrenza dei Paesi emergenti, il risultato è che il nucleo industriale di Rieti è pressoché morto. Difendere l’indifendibile non è possibile. Ostinarsi a combattere i mulini a vento per non far chiudere imprese non più competitive sul mercato internazionale, di scarso interesse ad investitori esteri, con asset post-datati, non ha senso. Forse si può avere successo nel breve periodo. Magari, come è stato fatto a lungo, continuando a dare sussidi. Ma si rimanderebbe, non eliminerebbe, il problema. Si sprecherebbero soldi dei contribuenti con pochi benefici per la comunità. Al contrario, non far chiudere, ed anzi supportare quei pochi campioni di eccellenza lo avrebbe avuto, ma non è accaduto. O non e’ stato fatto abbastanza.

Forse ciò che si sarebbe dovuto fare per mettere le basi di uno sviluppo sostenibile è creare un  distretto industriale competitivo attorno alle nostre eccellenze settoriali. Se c’è una cosa in cui l’Italia è prima al mondo, da sempre, sono i distretti industriali. Lo attesta anche la classifica del Global Competitiveness Report del Forum Economico Mondiale. Un successo tutto Italiano, teorizzato dal grande economista toscano Giacomo Becattini. Apprezzato dal grande economista della competitività Michael Porter. Con vantaggi competitivi radicati nel territorio grazie ad una combinazione unica di imprese, capitale umano, istituzioni, centri di formazione, i distretti come il laniero di Biella, del mobile di Pesaro, del marmo di Carrara, della pelle del Valdarno, della ceramica di Deruta, dell’occhiale di Belluno, del vetro artistico di Murano, del calzaturiero di Macerata, delle armi in Val Trompia, del cachemire di Perugia, dello sport system di Montebelluna, e così via tanti altri, hanno resistito negli anni, resilienti alla crisi ed alla competizione dei mercati emergenti, in grado di innovare, re-inventarsi e crescere, nonostante le mille difficoltà. A Rieti tutto questo non e’ accaduto.

Il progetto dell’ex SNIA può aiutare Rieti a ripartire?

Questo progetto, dal mio punto di vista, di meriti ne ha tanti. Primo tra tutti, porta Rieti sulla ribalta nazionale. Riapre la discussione sui progetti di rilancio economico e lo fa in modo concreto, cercando di apportare idee, capitale umano e risorse finanziarie. Cercando di coinvolgere le migliori competenze a livello nazionale e territoriale. Non è un mistero che sia un grande estimatore di H-Farm Venture (un incubatore di start-up), ad esempio.

Ripartire, o meglio, partire, si può. Di competenze e capitale umano ne abbiamo. Non solo nel nostro territorio, dove di giovani competenti ne ho conosciuti tanti nel mio cammino, ma anche fuori. Rimango sempre sorpreso quando nelle grandi capitali dell’economia mondiale conosco miei concittadini con grandi storie di successo negli ambiti più disparati. Coinvolgiamoli. Chiediamogli consiglio/aiuto. Sono stati esposti alle best practice internazionali ed hanno esperienze consolidate. Hanno tanto da offrire e poco da prendere, al contrario di molti politici locali trasformatisi in manager aziendali, esperti di economia industriale, di sanità, etc.

L’idea di puntare sull’innovazione mi piace. L’unico modo per continuare a crescere nel lungo termine è essere produttivi e puntare sull’innovazione. La spesa in Ricerca e Sviluppo ed Innovazione, lo dimostra la letteratura economica, è positivamente correlata (in modo statisticamente significativo) all’innovazione, e quest’ultima alla crescita. Come soggetto economico, abbiamo superato la fase di crescita basata sull’efficienza dei fattori di produzione, del basso costo della manodopera e del capitale. Ce lo insegna l’economia dello sviluppo. Le start-up sono le più innovative tra le aziende, lo dimostra la letteratura economica. Ancora piu’ importante, possono creare posti lavoro non solo direttamente, assumendo personale, ma soprattutto indirettamente, creando posti di lavoro nei settori non commerciali, anche low medium skill, con esternalità positive sul territorio. Il punto, però, è che la maggior parte di esse falliscono. Soprattutto, come le piccole imprese, in poche riescono a restare sul mercato, a crescere e continuare ad avere successo.

La letteratura economica dimostra che per avere una economia resiliente occorre creare un investment climate favorevole, che permetta alle imprese produttive di crescere e a quelle improduttive di uscire dal mercato. Non è un caso se il Dipartimento in cui lavoro si chiami Investment Climate. Altrimenti le start up continueranno a fallire, le piccole imprese a restare piccole, le grandi improduttive a richiedere aiuti dallo Stato per non chiudere, e così via, torniamo da punto a capo. Per fare questo occorrono strategie ed interventi assai complessi. Investire più soldi dando aiuti alle imprese non è abbastanza per sopperire alle carenze strutturali di un territorio. Lo dimostra la letteratura economica. È stata la prima cosa che mi hanno insegnato alla Banca Mondiale. Il problema dell’Italia in se non è che non vi siano sussidi alle imprese. Il Rapporto di Franceso Giavazzi, ad esempio, mostra come si possano tagliare 10 miliardi di Euro all’anno in incentivi ridondanti che non creano investimenti addizionali. Il recente lavoro di Roberto Perotti mostra quanti incentivi alle imprese vengano dati nella stessa regione Lazio. Il problema è che in molti casi le imprese stesse non conoscono quali incentivi vi siano. In altri che essi non vengano dati in modo economicamente razionale ma con logiche politiche.

Ancora più di mio gradimento di questo progetto è l’idea di fare di Rieti un centro di attrazione di personale altamente qualificato. Un centro di eccellenza. Dei recenti studi mostrano come “la geografia del lavoro” stia cambiando. Sono i centri che sono stati in grado di adattarsi al cambiare dei tempi e a continuare ad attrarre i migliori talenti da tutto al mondo che sono riusciti a crescere e restare competitive. Guardate New York. Guardate Londra. Ma guardate anche città emergenti come Singapore. Hong Kong. Kigali. Hyderabad. Shenzen. Ve ne posso nominare decine, di mega, grandi e medie, in tutte le regioni del mondo.

Attrarre capitale umano altamente qualificato è importante per tutti gli abitanti di quel luogo geografico. Non bisogna aver paura di attrarre personale da fuori. Anzi. Il lavoro di ricerca dell’economista Italiano Enrico Moretti, studiando gli USA, ha dimostrato come la creazione di un posto di lavoro altamente qualificato è statisticamente correlata alla creazione di cinque posti di lavoro nei settori non commerciali, ceteris paribus. Quindi, creare un posto di lavoro per uno scienziato, potenzialmente può crearne altri cinque indirettamente (ceteris paribus) per gente come tassisti, falegnami, infermieri, medici, insegnanti, e tanti altri. La cosa è intuitiva se ci pensate! Non solo, ha dimostrato che i salari di questi ultimi sono molto più alti che in altre aree in cui vi è una concentrazione più bassa di personale altamente qualificato/scienziati/etc. Quindi, ad esempio, fare il tassista a Washington D.C., dove ci sono migliaia di giovani professionisti high skilled, comporta un salario molto più alto che a Baltimora anche se a poche miglia di distanza.

Infine, i settori individuati da RENA (acqua, aria e terra) indicativamente mi piacciono. Occorrerebbe, però, studiare più a fondo la competitività settoriale del nostro territorio. Facciamolo!

Ahimé non posso dare un parere sui contenuti del progetto in sé. Forse per mia ignoranza, ma non sono riuscito a trovare informazioni dettagliate sulla strategia del processo di riqualificazione. Né tantomeno di come il progetto possa fornire un contributo al rilancio economico territoriale. Il pericolo è che l’ ‘annuncite’ Renziana, con tante idee generiche di base, ma poche proposte dettagliatamente strutturate, possa contagiare anche il nostro territorio. Ma ho fiducia negli uomini e le donne coinvolte nel progetto; so che i loro anticorpi sono forti abbastanza. Soprattutto Alessandro Fusacchia, sa che gode della mia piena stima.

Quindi per cui, non mi resta che fare un grande in bocca al lupo ai promotori del progetto e ad offrire (gratuitamente), qualora venissero ritenute utili, le mie competenze in ambito di competitività, innovazione, e commercio estero per il nostro territorio!

About Yassin Sabha

Yassin Sabha (Rieti, 1987) è un economista Italo-Giordano in forze al Gruppo Banca Mondiale, Washington D.C., dove lavora su tematiche relative alla competitività ed al commercio estero.