Pregare con gli occhi prima che con le labbra

LEGGI e RILEGGI

Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: “Tutti ti cercano!”. Egli disse loro: “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!”. E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni. (Mc 1,32-39)

MEDITA e RIFLETTI

Che mistero la preghiera di Gesù!

Ci è difficile comprendere che senso avesse per Lui pregare. Non è Egli Dio, il Forte, l’Eterno, l’Onnipotente, il Signore della storia, l’Alfa e l’Omega? Eppure gli evangelisti spesso annotano i momenti oranti di Gesù. Perché pregava e chi? Dovremmo forse accontentarci della risposta di coloro che affermano che la preghiera di Gesù ha essenzialmente un valore esemplare? E’ possibile che Egli pregasse solo per darci l’esempio? Che immagine di Gesù pedante e petulante, da “primo della classe” ne verrebbe fuori se egli assumesse determinati atteggiamenti solo per farci vedere cosa e come fare! Sarebbe anche Lui come gli altri, come quelli che troneggiano e pontificano. Sarebbe un altro di quelli che sanno sempre cosa fare, che hanno sempre il consiglio pronto, che per ogni evenienza hanno la soluzione in tasca.

No! Credo, invece, che la preghiera di Gesù ne manifesti l’intima identità. Egli non solo prega, ma la preghiera costituisce la sua stessa essenza. Egli è preghiera!

A tutti sono note le prime parole del Vangelo secondo Giovanni: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Quel “presso Dio” non indica solo vicinanza, ma anche e forse ancor di più indica relazione, a tal punto che si dovrebbe dire: “Il Verbo era rivolto verso Dio”. Se così è, in poche parole, l’evangelista Giovanni ci descrive l’essenza del Verbo, la più profonda identità del Figlio di Dio e perciò ci fornisce anche la chiave di lettura per comprendere i tanti momenti oranti della vita di Gesù di cui tutti i vangeli fanno menzione. L’identità del Verbo consiste nell’essere “totalmente rivolto verso” il Padre, essere uno sguardo amorevolmente contemplativo verso Colui che lo ha generato. Il Figlio non stacca mai i suoi occhi dal volto e dal cuore del Padre, quasi a penetrarne il mistero, a carpire il segreto progetto custodito nel suo cuore, a scorgere e ad estasiarsi dello sguardo d’amore che il Padre rivolge sul mondo. Il Figlio non si stanca mai di pendere dalle labbra del Padre e di scrutarne i progetti di pace. Essere figlio è una struggente tensione, è un intimo e appagante “faccia a faccia” inestricabile relazione di cuori, ininterrotto dialogo di parole dette e ridette, sussurrate e riecheggiate in un infinito riverbero di suoni e di sensi. Essere figlio ha senso solo in relazione ad un padre.

Venuto nel mondo, il Figlio, pur spogliandosi della sua uguaglianza col Padre, non rinuncia alla sua identità, e anche rivestendosi di umanità resta pur sempre lo sguardo d’amore e di obbedienza al Padre. I tanti momenti oranti nella vita di Gesù ci manifestano questo mistero. Essere sguardo rivolto verso il Padre, non dice solo l’identità di Gesù, ma dice altresì l’essenza stessa della preghiera. Certo si prega per chiedere, per ringraziare, per lodare, ma si dovrebbe pregare anche solo per “guardare”. La preghiera è essenzialmente sguardo d’amore, luminoso dialogo di occhi che desiderano scrutare e lasciarsi scrutare, che bramano inabissarsi nelle profondità del cuore di Dio. La preghiera è una relazione di ascolto tesa a percepire la Parola divina, e l’ascolto si fa adesione e l’adesione genera la gioia d’essere figlio.

Se il mistero della più intima identità del Figlio è svelato e narrato dalla preghiera, se il Figlio è preghiera, ciò ci rivela che la preghiera è l’ingrediente necessario ed indispensabile di ogni figliolanza. Anche l’uomo se vuole riappropriarsi della sua identità non può che “diventare” preghiera (realtà ben più grande ed esigente del semplice pregare). Radicarsi in Dio, volgere a Lui il nostro sguardo, tendere verso di Lui il nostro orecchio, far sì che tutta la nostra esistenza sia attratta da Dio, questo ci permette di riappropriarci della nostra identità di uomini. Come il Verbo, così anche l’uomo se non è una esistenza orante perde la sua identità.

Nella preghiera occorre saper far tacere le labbra per dare libero sfogo agli occhi e agli orecchi, e guardare, ed ascoltare. E questo sguardo, e questo ascolto ti rende figlio, ti rende uomo!

Che posto ha la preghiera nella mia vita?

Quando prego mi limito a recitare preghiere o so anche e soprattutto scrutare il cuore di Dio e ascoltare la sua Parola?

Lo scopo della mia preghiera consiste nel tentativo di voler mutare i progetti di Dio, oppure è il desiderio di voler aderire alla sua volontà e riprodurre in me i lineamenti del suo volto, i suoi sentimenti, i suoi progetti, le sue aspettative, per essere quanto più è possibile a “sua immagine e somiglianza”?

PREGA:

O Signore, Padre amorevole, sorgente della vita e della gioia, tu sai quanto la mia vita sia dis-tratta da te, il mio sguardo perso ad inseguire futili immagini inappaganti, la mia attenzione ripiegata su me stesso pronta solo ad ascoltare i miei bisogni. La tua grazia mi renda simile all’unigenito tuo Figlio, sguardo e ascolto orante, sempre proteso a scrutare il tuo volto, a percepire la tua Parola. Solo così potrò riappropriarmi della mia dignità filiale, forza e segreto di una umanità riuscita.

AGISCI:

Cercherò di ritagliarmi, nell’arco della giornata, momenti di intimità con Dio. Il tempo che “perdo” con Lui è un tempo “ritrovato” per me. Solo la preghiera mi dischiude il segreto della mia identità. Pregando non dirò nulla, guarderò e mi “lascerò dire” da Lui.