La povertà secondo Papa Francesco: una lettura alla luce dell’Evangelii gaudium

Francesco auspica che con l’istituzione della Giornata mondiale dei poveri “si instauri una tradizione che sia contributo concreto all’evangelizzazione nel mondo contemporaneo”. In quest’orizzonte evangelizzatore comincerei col cogliere dal Messaggio tre indicazioni. La prima è un richiamo al magistero del Vaticano II. La seconda sta nell’incoraggiamento a stabilire “un vero incontro con i poveri e dare luogo ad una condivisione che diventi stile di vita”. La terza è nel legame tra l’incontro con Cristo nel povero e l’altro, sempre con Cristo, nell’Eucaristia

L’istituzione di una speciale Giornata mondiale dei poveri voluta da Francesco è da intendersi senz’altro alla luce del progetto generale del suo pontificato condensato nell’esortazione Evangelii gaudium. Quanto lì contenuto può riassumersi in tre punti.

L’opzione per i poveri, anzitutto, deve essere intesa come una “forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradizione della Chiesa” (n. 198). In secondo luogo, con san Tommaso il Papa spiegava che il povero, quando è amato, “è considerato cosa di grande valore” ed è proprio questo a differenziare l’autentica opzione per i poveri da qualsiasi ideologia, da qualunque intento di utilizzare i poveri al servizio di interessi personali o politici. Da ultimo il Papa avvertiva che tutti siamo chiamati a cogliere il significato evangelico dei poveri e della povertà (cf. n. 201).

Nell’orizzonte di questo magistero, oggi Francesco auspica che con l’istituzione di questa Giornata “si instauri una tradizione che sia contributo concreto all’evangelizzazione nel mondo contemporaneo”. In quest’orizzonte evangelizzatore comincerei col cogliere dal Messaggio altre tre indicazioni.

La prima è un richiamo al magistero del Vaticano II, il quale ci ricorda che “come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa e chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza… riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo” (Lumen gentium n. 8). Facendo eco a quest’insegnamento, Francesco ricorda che “per i discepoli di Cristo la povertà è anzitutto una vocazione a seguire Gesù povero” (n. 4).

Troverei una seconda indicazione nell’incoraggiamento a stabilire “un vero incontro con i poveri e dare luogo ad una condivisione che diventi stile di vita”. La cultura dell’incontro è per Bergoglio un principio ermeneutico, ma è anche un principio teologico perché qui si tratta di toccare con mano la carne di Cristo (n. 3). Francesco vi si soffermò nei primi mesi del ministero petrino. Nella veglia di Pentecoste, il 18 maggio 2013, disse: “Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri. La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada… Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà, la povertà del Signore”.

In linea con queste ultime parole, raccolgo la terza indicazione del Messaggio nel legame tra l’incontro con Cristo nel povero e l’altro, sempre con Cristo, nell’Eucaristia (cf. n. 3). Richiamandosi ai medesimi testi di san Giovanni Crisostomo citati da Francesco, O. Clément, autore ortodosso francese morto nel 2009, denunciò non senza ragione la presenza nella Chiesa di uno scisma tra il sacramento dell’altare e il sacramento del fratello e spiegava così:

“La Chiesa ha preservato il mistero e la mistica del Risorto, ma alcune complesse storture – che si tratti della decadenza del monachesimo o dello sviluppo di una pietà individualistica poco capace di suscitare un’etica creatrice – hanno reso spesso i cristiani poco sensibili al Cristo crocefisso della storia… Oggi, sentiamo che è giunto il momento di superare questo scisma” (Riflessioni sull’uomo, Milano 1990, 89).

Un altro Papa che sentì forte la necessità di ricomporre l’unità fra Cristo nell’Eucaristia e Cristo nel povero fu il beato Paolo VI. Quando il 23 agosto 1968, in Colombia egli celebrò la Messa per i campesinos disse subito:

“Siamo venuti a Bogotá per onorare Gesù nel suo Mistero eucaristico, e siamo pieni di gioia che ci sia data l’opportunità di farlo venendo in mezzo a voi… [che] siete un segno, voi un’immagine, voi un mistero della presenza di Cristo… E tutta la tradizione della Chiesa riconosce nei poveri il sacramento di Cristo, non certo identico alla realtà dell’Eucaristia, ma in perfetta corrispondenza analogica e mistica con essa”.

Quasi cinquant’anni dopo quella Messa, un altro Papa tornerà in Colombia. Lo aveva fatto pure nel 1986 san Giovanni Paolo II. La visita di Francesco nel prossimo settembre potrà anche essere intesa come un’esortazione a perfezionare il superamento di quello scisma tra il sacramento dell’altare e il sacramento del fratello, auspicato dalla profezia del Vaticano II.

Marcello Semeraro