Poca cultura, tanta guerra

Il momento è serio, e papa Francesco lo ha detto forse prima di tutti: è la terza guerra mondiale, a pezzi, a macchia di leopardo, ma di guerra si tratta; finché siamo stati fuori dai riflettori non ce n’è importato troppo, ora che i “califfi” stanno a «sud di Roma» qualcuno si comincia a preoccupare.
Su Facebook si leggono proclami patriottici da parte di giovani e meno giovani, del tipo: «difenderemo la nostra Patria», e amenità del genere.
L’Italia è un colabrodo, pure sul piano militare, se è vero che i poliziotti in borghese in servizio a san Pietro hanno i giubbotti antiproiettile scaduti e altre attrezzature fatiscenti e inadeguate.
Il problema del terrorismo islamico è antico. E bisogna andare con la memoria all’attacco delle torri gemelle e a quello che ne seguì. Fu fatta una guerra sbagliata, che fece più morti di quelli che furono vittima dell’ undici settembre 2001, ma il problema andava affrontato allora, ed era un problema culturale.
I nostri pseudo-intellettuali dissero che la cultura non si esporta, e questo in senso generale è vero, ma non si trattava di esportare un macigno di cultura occidentale, si trattava di iniziare una lenta opera di diplomazia e di interventi presso quelle autorità religiose e politiche che hanno in qualche modo peso in quelle culture, perché si aprisse una breccia e soprattutto perché si iniziasse un’opera di alfabetizzazione anche relativa ai grandi princìpi della tolleranza, della conoscenza del diverso, del rispetto delle istanze e delle idee del prossimo.
Invece non fu fatto niente.
Oriana Fallaci, prima di morire, scrisse che si stavano preparando all’offensiva verso un occidente distratto, secolarizzato, che misconosce le sue radici e la sua cultura cristiana. Scrissero un libro perfino Ratzinger e Marcello Pera, dal titolo eloquente: “Senza radici”, cercando di ricordare all’Europa distratta che una vera unità non si poteva costruire solo sull’euro, ma su quei grandi valori che la tradizione cristiana aveva innestato nel vecchio continente. Manco a dirlo di lì a poco cominciò la paurosa crisi economica ancora in atto. E i focolai di guerra non si sono né spenti, né calmati.
La cultura laicista che ha preso piede pure in Italia è stata devastante, perché ha eliminato quel minimo di senso morale che impediva di compiere nefandezze eccessive e sfrontate, così abbiamo pensato che chiudendoci nel nostro orticello ed eliminando ogni orizzonte e dimensione spirituale potessimo vivere in un’era nuova di progresso e di benessere.
Così non è stato. La corruzione, il malaffare, l’egoismo, ci hanno fatto pensare di bastare a noi stessi.
Direbbero i profeti dell’Antico Testamento più o meno così: «avete fatto il vostro comodo, adesso arriva la punizione, la paura, il terrore». Saprà l’Europa rivedere la sua storia, i suoi valori, le sue radici religiose? Forse no, non illudiamoci.
Per ora tutti si improvvisano strateghi militari che propongono di armarci fino ai denti e combattere contro i nemici “saraceni”, ma sono gli stessi che inveiscono contro i cristiani che nell’anno mille fecero le crociate e che giudicano con i criteri di oggi fatti e pensieri di mille anni fa.
Ma noi oggi abbiamo qualche strumento in più rispetto al passato e dovremmo essere capaci di usarlo, per evitare carneficine.
Forse questa paura e questo terrore ci faranno pure capire meglio alcune congiunture della storia che potremmo imparare a giudicare con minore durezza e ci faranno rivedere il nostro modo di interpretare le istanze della modernità, attingendo alla nostra tradizione culturale più genuina e più solida, che si nutre della classicità greco-romana e della visione religiosa ebraico-cristiana.
Un po’ di paura può pure fare bene; ci fa ridimensionare e ci fa relativizzare certezze effimere e modalità sgraziate di rapportarci col prossimo e con la storia.