Più forti delle armi

Tre esempi di resistenza non-violenta contro l’orrore in un recente libro di Anselmo Palini

Bonhoeffer, Stein, Popieluszko: tre “resistenti nonviolenti”, tre esempi talvolta soggetti a dimenticanze e rimozioni, visto che interpellano a giudizio i due sistemi politici che avrebbero dovuto risolvere i problemi scaturiti dalla Grande Guerra. Ora il “rimosso” torna d’attualità con “Più forti delle armi” (Editrice Ave, 346 pagine) di Anselmo Palini, una raccolta di studi documentati e accurati che non solo aiutano a ricordare il sacrificio dei tre testimoni della fede, ma fanno luce su una intera epoca che va dalla pace di Versailles, dopo la prima guerra mondiale, alla fine del comunismo. Lo studio su Dietrich Bonhoeffer, teologo protestante, rivela come le stesse comunità riformate attraversassero un momento di forte crisi a causa della tendenza di una parte della chiesa luterana, a lasciare a Cesare ciò che era di Cesare – in questo caso Hitler -: il che di fatto avallava le leggi razziali. Il sacrificio di Bonhoeffer, impiccato con l’accusa di aver partecipato all’attentato contro Hitler del 20 luglio 1944, è la prova che non tutti i credenti rimasero indifferenti alla progressiva politica di emarginazione e sterminio degli Ebrei. Vittima della insensatezza di una parte della storia recente è stata anche Edith Stein, di famiglia ebraica, ma poi divenuta suora del Carmelo in seguito ad una crisi religiosa che la portò dall’agnosticismo alla fiducia nella reale presenza di Cristo nella storia. Colpisce l’unanimità delle testimonianze circa il comportamento improntato a serenità, comprensione e aiuto verso tutti gli altri che si disperavano durante i trasferimenti verso i campi di sterminio: colei che era stata una delle pensatrici più brillanti della filosofia tedesca morì in una camera a gas di Auschwitz probabilmente il 9 agosto 1942, “agnello immolato per il proprio popolo”, come scrive Palini.
Nulla cambia, nonostante il segno opposto dei persecutori, nel destino di padre Jerzy Popieluszko, immolato al moloch dello stato assoluto comunista per il suo costante appoggio a Solidarnosc, il 19 ottobre 1984. Tre martiri che, conclude Palini, “non hanno girato lo sguardo dall’altra parte”, ma si sono fatti carico di un progetto di libertà e di fede che ha dato i suoi frutti, nonostante la sbadataggine dei nostri convulsi giorni.