Perché credere?

Power ha studiato per 20 mesi il modo in cui le pratiche religiose influenzano la vita personale e sociale degli abitanti di due villaggi dell’India meridionale, Tenpatti e Alakapuram

L’esperienza religiosa ha costantemente accompagnato il cammino dell’umanità, in ogni sua epoca, esprimendosi con modalità e linguaggi diversi. E ancora oggi, si calcola che circa l’80% della popolazione mondiale viva con un atteggiamento “religioso”, facendo riferimento ad un qualche tipo di fede.
Questa fondamentale dimensione umana non ha certo mancato di suscitare anche l’attenzione e la curiosità degli studiosi, magari interessati ad aspetti particolari (e “parziali”) della religiosità.
Ad esempio, la psicologia evoluzionistica ha ritenuto d’interrogarsi su quale vantaggio evolutivo possa eventualmente dare la fede religiosa all’individuo che la pratica. E, in un recente studio, pubblicato sulla rivista “Nature Human Behaviour” e condotto da Eleanor Power, del Santa Fe Institute, si sarebbe giunti alla conclusione che le attività religiose consentono a chi vi partecipa di stabilire legami sociali più forti con i membri del proprio gruppo.
A dire il vero, finora i vari studi psicologici del comportamento religioso spesso sono stati condotti in condizioni di laboratorio (“artificiali”). E in queste particolari condizioni, alcuni di essi hanno indicato che il comportamento religioso può favorire alcune qualità prosociali come la generosità e l’affidabilità. Ma sono davvero poche le ricerche in questo campo, condotte in condizioni di vita reale.
Per tentare di colmare questa lacuna, Power ha studiato per 20 mesi il modo in cui le pratiche religiose influenzano la vita personale e sociale degli abitanti di due villaggi dell’India meridionale, Tenpatti e Alakapuram.
Stiamo parlando di comunità dove la maggior parte dei residenti vive in condizioni di povertà e non ha certo accesso ad un conto bancario. Di conseguenza, ciascuno di essi può contare solo sul sostegno della famiglia e degli amici nello svolgimento dei lavori agricoli, nella costruzione degli edifici e nelle altre attività quotidiane fondamentali. La gente vive in villaggi relativamente piccoli, con circa 400 residenti adulti, distribuiti in 200 abitazioni.
Ma nonostante numeri così esigui, in questi raggruppamenti umani sono rappresentate diverse caste e differenti religioni. Tra queste, l’induismo è la fede più seguita. Ma sono presenti anche cristiani cattolici, protestanti ed evangelici, raggruppati in un’unica casta. Normalmente, sia le caste che i gruppi religiosi mantengono tra loro buone relazioni, anche se la discriminazione di casta è ancora tangibile.
In questo scenario sociale, utilizzando un metodo statistico chiamato “modello grafico casuale esponenziale”, la Power ha analizzato le relazioni interpersonali degli abitanti dei villaggi, cercando d’individuarne la possibile correlazione con le pratiche religiose. I dati raccolti hanno messo in evidenza con forza la tendenza generale a chiedere supporto preferenzialmente alle persone che frequentano regolarmente le funzioni religiose, o a quelle coinvolte in atti religiosi più evidenti e costosi (in termini di tempo e risorse). La ragione di ciò? Esse sono giudicate più affidabili e generose rispetto agli altri. Il supporto ricevuto viene poi, in genere, ricambiato. Si costruiscono così salde relazioni umane di mutuo aiuto.
Una conferma di questa tendenza viene anche dal confronto con altre caratteristiche personali, che potrebbero influenzare la reputazione individuale; ad esempio, avere possedimenti e ricchezze sembra avere un impatto trascurabile o addirittura negativo sulle relazioni interpersonali. Inoltre, le manifestazioni religiose rappresentano un’occasione per conoscere altre persone o per approfondire un rapporto interpersonale.
“Gli atti religiosi – spiega Power – possono acquisire un senso notevole quando si guarda al loro beneficio sociale. Perciò se la pratica religiosa influenza la probabilità di stringere queste relazioni e la loro qualità, influenza anche la capacità degli individui di far fronte alle incertezze e alle difficoltà della vita”.
Insomma, un’ulteriore conferma sperimentale del fatto che, aprirsi all’esperienza religiosa, giova all’essere umano da molti punti di vista.