Papa Francesco comunicatore globale

Lo stile comunicativo di Bergoglio interroga i portavoce delle Conferenze episcopali d’Europa. Riuniti a Lisbona hanno esaminato la ”sua” rivoluzione. Da un lato la riduzione delle distanze fra chi comunica e chi riceve il messaggio. Dall’altro l’eloquenza dei suoi atti che mette in crisi le formalità e ripropone l’essenzialità della vita cristiana.

Nessuno può negarlo: Papa Francesco è un comunicatore globale. Un dono inaspettato per la Chiesa cattolica, ma anche per un mondo assetato di carezze. E pure per il sistema globale della comunicazione, sempre alla ricerca della novità. Un mondo, quello dei media, malato però di frivolezza, inadeguato a scavare oltre la patina superficiale della cronaca, disponibile ad amplificare tutto ciò che abbia una parvenza di gossip, attento ai tratti esteriori più che alla ricerca di senso, solleticato da tutto ciò che possa profumare anche lontanamente di scandalo, attratto dal tassello e abbastanza indifferente alla complessità dell’affresco, sempre in attesa che il grande personaggio faccia il suo primo scivolone pubblico così da poterlo infilzare a puntino. Eppure, dinanzi ai limiti di questa comunicazione globale, Papa Francesco ha deciso di tirare diritto per la sua strada scegliendo di rischiare qualcosa, ma di rimanere fedele a se stesso, tanto nelle parole quanto nei gesti.

Di tutto questo sono ben consapevoli quanti oggi, in Europa, gestiscono la comunicazione nella Chiesa cattolica a livello di conferenze episcopali, come di diocesi e comunità. Se ne è parlato a Lisbona nel corso dell’incontro annuale degli addetti stampa e dei portavoce delle Chiese d’Europa (11-14 giugno). Dunque, questa stagione della Chiesa appare, pur in un tempo generale di crisi economica che mette a dura prova tutto il mondo dell’editoria, un tempo propizio per mettersi alla prova su due fronti che sono propri di Francesco. Il primo: la riduzione delle distanze fra chi comunica e chi riceve il messaggio. È il tratto distintivo della presenza pubblica del Papa che non smette di stupire, anche a costo di correre qualche rischio personale. Ma lui l’ha detto chiaramente: meglio una Chiesa ammaccata o incidentata, ma presente nella vita della gente. Con parole che giungono direttamente al cuore di ciascuno, senza quelle mediazioni che a volte hanno caricato di insostenibili moralismi (le “dogane”) il messaggio cristiano. La risonanza immediata delle sue parole ha reso il mestiere dei comunicatori sempre più esigente: con le sue parole non si può giocare. Non c’è mediazione che possa aggiungere qualcosa. Persino i teologi sono costretti a riconsiderare il proprio stile e il proprio linguaggio.

Il secondo: l’eloquenza dei gesti di Francesco mette in crisi le formalità e ripropone l’essenzialità della vita cristiana. La televisione, in questa prospettiva, con la forza dell’immagine dilatata e ripetuta, ha un ruolo decisivo. Un’immagine che trasmette un messaggio comprensibile universalmente. Un esempio per tutti: la lavanda dei piedi alla ragazza musulmana o l’abbraccio prolungato all’uomo sfigurato. Non c’è uomo o donna in qualunque continente che non abbia compreso. Questa immediatezza, unita all’esemplarità, carica di senso i gesti del Papa che sembra dire: se lo faccio io, perché non ci provate anche voi?

Parole e gesti di Francesco stanno dunque tornando a rafforzare la credibilità della Chiesa e dei credenti. La responsabilità è grande sulle spalle di tutti i comunicatori cattolici. Non possiamo più, in Europa come nel resto del mondo cattolico, nascondere la necessità di individuare nuove forme di narrazione della vita cristiana. Sapendo che corriamo qualche pericolo in più rispetto al passato, ma nella consapevolezza che lo stesso Francesco ha scelto per sé di rompere con le convenzioni, di mostrarsi padrone di se stesso, di suscitare incertezze salutari nella Chiesa, di suscitare numerose aspettative anche nel mondo laico.

Tutto ciò carica di responsabilità chi ha un qualche minimo ruolo nella comunicazione pubblica della Chiesa, anche e forse soprattutto nella malandata Europa. Ma non vivere sino in fondo questa stagione di libertà sarebbe peggio dell’errore inconsapevole e in buona fede. Dunque, noi comunicatori cattolici, prendiamoci la responsabilità di una nuova narrazione. Quella di una Chiesa che fa. Questa non è la stagione dei proclami. Papa Francesco, con le sue parole e suoi gesti, ha una carezza per tutti e regala un sospiro di sollievo. È quello di cui il mondo ha bisogno. Esserne consapevoli ci aiuterà, come comunicatori cattolici, a sbagliare meno.